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Festival di Sanremo 2022: le mie pagelle

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February 2, 2022 by Mosè Viero

Il Festival della Canzone Italiana è giunto alla sua settantaduesima edizione. È la terza consecutiva assegnata ad Amadeus, e si sa che quando si va oltre i due anni consecutivi si entra di diritto nella stirpe dei pippibaudi. Chissà per quanto tempo dovremmo tenerci questa formula dai molti punti discutibili, come per esempio l’assenza del DopoFestival (che nei suoi ultimi anni di vita era tra i momenti migliori dell’intera manifestazione), l’assorbimento dei Giovani tra i Big, gli estenuanti interventi di Fiorello, la durata assurdamente lunga.

Dopo la seconda serata le canzoni sono tutte sbloccate. Dopo la serata cover la classifica vede al primo posto Mahmood & Blanco, al secondo posto Gianni Morandi e al terzo posto Elisa.

Ecco i miei giudizi, in ordine di apparizione dei cantanti sul palco.


Achille Lauro – Domenica

Il buon Achillone è ormai quasi una presenza fissa sul palco dell’Ariston, in veste di concorrente o di superospite. Come nelle sue precedenti performance, anche in questa la scena e i costumi rubano il palco alla canzone: fisicatissimo, sensuale e caratterizzato dalla sua consueta iconoclastia patinata, il nostro si abbandona alle sue familiari ed evocative frasi spezzate, intervallate dagli immancabili “oh sì” “oh mio dio”, che sono come gli “eh beh” per Vasco Rossi. L’insieme suona come irrimediabilmente già sentito, soprattutto nella strofa, quasi perfettamente sovrapponibile a quella di Rolls Royce: il brano acquista una sua identità maggiore nell’inciso, arricchito, nella versione live, dalle voci dell’Harlem Gosper Choir, peraltro decisamente sottosfruttato.
Voto: 6

Video ufficiale


Yuman – Ora e qui

Catapultato tra i BIG forse inopinatamente, questo giovane cantante mezzo italiano e mezzo capoverdiano ci prova ma non convince del tutto. La sua voce profonda e dalle venature soul dà il suo meglio nei toni bassi della strofa, durante la quale però è un po’ sovrastata dall’orchestra; sulle note alte del ritornello, viceversa, il passo interpretativo si fa più maldestro, dando l’impressione di essere di fronte a un crooner costretto a urlare controvoglia. La scarsa consistenza lirica e melodica del pezzo fanno il resto. Peccato, ma c’è tutto il tempo per crescere.
Voto: 4

video ufficiale


Noemi – Ti amo non lo so dire

Noemi è una veterana del Festival: quella di quest’anno è la sua settima partecipazione e si colloca immediatamente a ridosso di quella di undici mesi fa con il pezzo Glicine. Questa esposizione è chiaro indice si sovraffollamento di idee: secondo noi la cara e simpatica Veronica deve ancora trovate una sua collocazione e si produce quindi in brani di generi e spessori differenti non con l’aria di chi si compiace del proprio ecumenismo quanto piuttosto di chi fatica a mettere a fuoco il suo ruolo. Quest’anno Noemi abbandona il pop tradizionale e usurato che ha segnato quasi tutte le sue presenze all’Ariston e prova a giocarsi la carta Mahmood: Ti amo non lo so dire è il classico pezzo diseguale e sincopato tipico del suo autore, con ritornello quasi dance e strofa arricchita dall’inconfondibile pianoforte di Dardust, la cui produzione peraltro si perde un po’ nella performance live. Il brano non è male, ma resta qualche dubbio sull’appropriatezza dell’interprete: di primo acchito, la nostra impressione è di essere di fronte a un pezzo di Mahmood coverizzato da una voce femminile.
Voto: 6

video ufficiale


Gianni Morandi – Apri tutte le porte

Morandi è un’istituzione: amato dai giovani e dai meno giovani, è riuscito a costruirsi un’identità ‘nuova’ al tempo dei social e ha un approccio positivo e propositivo che lo rende virtualmente inattaccabile, che si parli di musica, di spettacolo, di politica. Ultimamente collabora spesso con Jovanotti e la cosa, viste queste premesse, non sorprende affatto: i due hanno una Weltanschauung decisamente affine, testimoniata anche dal pezzo in oggetto, esempio cristallino della poetica cherubiniana, sia dal punto di vista delle liriche sia da quello dell’energia del ritmo. L’arrangiamento, ricco e stratificato, fa un largo uso di fiati, evocando atmosfere che ricordano quelle degli esordi del cantante, nell’intento forse di chiudere un cerchio artistico cominciato  sessant’anni fa. La struttura è più elaborata della media dei pezzi in gara: alla strofa segue un bridge incalzato dal ritornello, e la parte finale è arricchita da uno special melodico che valorizza il comparto vocale, togliendo però qualcosa all’equilibrio complessivo. Non è un capolavoro, ma è un brano ben scritto e ben prodotto. E poi diciamocelo: Morandi può fare qualsiasi cosa, l’ovazione da parte del pubblico ci sarà sempre.
Voto: 7

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La Rappresentante di Lista – Ciao ciao

Il duo Lucchesi & Mangiaracina è tra le avanguardie del pop italiano contemporaneo: la partecipazione al Festival dello scorso anno, con il brano Amare, lo ha sdoganato presso il grande pubblico, permettendo un più ampio apprezzamento del suo tipico sound moderno, ricco e stratificato. Il pezzo in gara quest’anno è più simpatico e sbarazzino ma lancia un messaggio solo apparentemente banale e disimpegnato. Produzione e arrangiamento sono al top: il brano è sorretto da un poderoso giro di basso dal quale fioriscono momenti di fraseggio diseguale e momenti di ritmo strutturatissimo, in particolare nel ritornello, costruito come un vero e proprio tormentone dotato anche di apposita coreografia. Quest’ultimo può stancare rapidamente e nel complesso l’operazione pare un po’ effimera se paragonata ad Amare, un brano che sembrava apertamente pensato per un pubblico internazionale: ma siamo sicuri che Ciao ciao ci ossessionerà per buona parte dei prossimi mesi.
Voto: 7

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Michele Bravi – Inverno dei fiori

Dalla sua prima partecipazione al Festival Michele Bravi è cambiato parecchio: da ragazzo timido e schivo si è trasformato in un performer a tutto tondo, dotato anche di una immagine e di outfit da divo. Il pezzo in realtà è della stessa squadra che partorì Il diario degli errori, capitanata da due autori navigatissimi come Federica Abbate per la musica e Cheope per il testo: il risultato però, spiace dirlo, è un po’ deludente, soprattutto per via del ritornello, privo di sufficiente apertura e decisamente incapace di portare a compimento le premesse poste dalla strofa, dalle radici decisamente più solide e robuste. Se aggiungiamo a questo un’interpretazione non certo al top possiamo capire la delusione. Lo spazio per crescere c’è, ma per adesso non ci convince.
Voto: 5

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Massimo Ranieri – Lettera di là dal mare

Ranieri mancava dal Festival dal 1995: per il suo ritorno ha scelto un brano dalla struttura molto classica, con strofa calante e ritornello dalla grande apertura melodica, intessuto di liriche poetiche, piene di suggestioni e di ricordi. L’autore Fabio Ilacqua ha un curriculum notevole: ha scritto con Gabbani la mitica Occidentali’s Karma (nonché tutto l’album Magellano che la includeva) e ha composto pezzi per Loredana Bertè, Ornella Vanoni, Marco Mengoni. Ilacqua ha forse pensato alla biografia dell’interprete nel comporre il testo, incentrato nell’evocare una traversata dell’oceano: Ranieri fece il suo primo tour, appena tredicenne, negli Stati Uniti, esibendosi per la prima volta in un club di Brooklyn. Complessivamente il brano, nel suo incedere un po’ vetusto ma dalle arie ben strutturate, non è disprezzabile: l’interpretazione ha avuto però diverse imperfezioni, dovute forse all’emozione. Potrebbe migliorare nei prossimi ascolti.
Voto: 5

(per adesso non c’è un video)


Mahmood e Blanco – Brividi

Favoriti fin dal momento dell’annuncio della loro partecipazione alla gara, questi due ragazzi hanno il palco in pugno e confermano tutte le aspettative, andando forse perfino oltre. Il pezzo è incarnazione perfetta della ballad contemporanea, che si appoggia a una linea melodica molto chiara lasciando da essa germinare fasi calanti e fasi crescenti, stacchi calibratissimi e concitazioni improvvise, all’insegna di quel gusto de-strutturalista tipico della musica d’oggi. Canzoni come questa rappresentano occasioni imperdibili per misurare tempi e direzioni dello sviluppo del pop italiano melodico: l’ascolto ci fa davvero sentire protagonisti della Storia nell’assistere a questa solidissima classicità proiettata nel futuro, e i due interpreti, che padroneggiano con invidiabile abilità le loro voci così fortemente caratterizzate, non potrebbero essere più ‘centrati’ nell’approccio e nell’intonazione. Morandi & Ranieri: siete bravissimi e io vi adoro, ma rispetto a questi due sembrate un documentario sui Fenici.
Voto: 8

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Ana Mena – Duecentomila ore

Dopo averci ammorbato le ultime estati in compagnia di quel tamarro di Rocco Hunt (che ovviamente ha messo lo zampino anche in questo pezzo), Ana Mena prova a infestarci anche l’inverno, come le zanzare che vengono dalla Corea. Duecentomila ore è un brano talmente brutto che può quasi ambire alla rivalutazione postuma: un po’ musica balcanica (infatti ci ha rotto i coglioni, cit.), un po’ neomelodico napoletano, un po’ trashata da spiaggia (una perla del testo: “m’ama non m’ama un fiore / America Latina / un cuba libre amore”). Insomma, siamo all’incontro al vertice di tutto quello che ci fa schifo: a suo modo, un capolavoro.
Voto: 2

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Rkomi – Insuperabile

Questo giovane ma già molto popolare esponente della scena rap e hip hop italiana si presenta all’Ariston con un pezzo che in realtà strizza l’occhio soprattutto all’alternative rock britannico, con echi evidenti dai Depeche Mode (Personal Jesus) e dai Muse (Dead Inside). L’operazione soffre forse di derivazione eccessiva e la scrittura è decisamente acerba, come anche la presenza scenica. Però siamo comunque di fronte a un pezzo non così tremendo, con schitarrate elargite con grande soddisfazione e la giusta dose di sbruffonaggine che ci si aspetta da un giovane rocker.
Voto: 5

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Dargen D’Amico – Dove si balla

Questo particolare personaggio, che si definisce “cantautorap” e che solo in Italia può passare per un “giovane” (ha più di quarant’anni, come dichiara anche nel testo), tenta un’operazione sul filo della meta-canzone: Dove si balla è un pezzo dance che giustappone, non senza un effetto vagamente straniante, una struttura super-classica e prevedibile a un comparto lirico autoriferito, cinico al limite del nichilismo, nel quale l’unico impegno possibile sembra sbandierare il proprio disimpegno. La messa in scena, con l’interprete che si muove svagato per il palco tentando di quando in quando di coinvolgere il pubblico in sala, completa il quadro: il risultato è più della somma delle sue parti, e fa intuire la presenza di una “regia ideologica” più forte di quel che si potrebbe pensare.
Voto: 6

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Giusy Ferreri – Miele

La campionessa delle hit estive non ha mai ‘centrato’ le sue partecipazioni al Festival, che infatti sono state rapidamente dimenticate anche dal suo stesso repertorio. Quest’anno Giusy ci riprova con un pezzo piacevole, dal gusto retrò, con echi di tango e profumi vagamente orientali. La linea melodica, dovuta all’onnipresente Federica Abbate, è solidissima e su disco valorizza molto bene il registro da contralto e la voce roca dell’interprete: simpatica anche la trovata del vecchio megafono utilizzato sul palco al posto del corrispondente effetto digitale, a tutto vantaggio dell’atmosfera vintage. Certo, le hit estive sono da tutt’altra parte: ma il pezzo ci piace e il timbro della cantante ha una sua unicità che ben caratterizza l’insieme.
Voto: 6

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Sangiovanni – Farfalle

L’esponente della new wave vicentina inaugurata da Madame si muove sul terreno a lui più congeniale: Farfalle è esattamente ciò che ci si aspetta da Sangiovanni, ovvero un brano di pop elettronico contemporaneo dalle melodie semplici e dal ritornello di facile presa, perfetto per conquistare le ragazzine che costituiscono il grosso della fanbase. Abbiamo però la netta sensazione di essere lontani dalle potenzialità di successo che aveva la celebre Malibu: solo il tempo dirà se abbiamo ragione.
Voto: 5

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Giovanni Truppi – Tuo padre, mia madre, Lucia

Giovanni Truppi è un cantautore napoletano che in occasione di questo Festival per la prima volta si offre al grande pubblico, nonostante una già lunga e rispettabile carriera (il suo primo album è del 2010). Il suo pezzo è l’unico in gara a muoversi sui binari del cantautorato ‘classico’, pur non mancando di modernità nel suo scombinarsi su registri differenti, dal parlato al melodico: la voce bassa e profonda, che ricorda quelle di De Andrè e di Bianconi, sorregge un testo dalla mirabile ispirazione poetica, scritto dall’interprete assieme a Pacifico, la cui penna è evidente soprattutto in quella sua tipica abilità nel trasformare immagini ‘normali’ e quotidiane in ‘bombe’ che esplodono in sublimi picchi emozionali. Il tema, una riflessione su cos’è l’amore, è prediletto dai partecipanti al Festival: per restare agli anni recenti, è stato affrontato da Gabbani in Viceversa (oibò, anche quella con lo zampino di Pacifico) e da Barbarossa in Passame er sale. Il pezzo in oggetto dà, nel suo inciso melodicamente perfetto, una risposta commovente, semplice e definitiva: “amarti è credere che / che quello che sarò / sarò con te”. Molto bella.
Voto: 8

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Le Vibrazioni – Tantissimo

Il gruppo di Francesco Sarcina non è certo composto da anziani, ma nello sviluppo della canzone italiana contemporanea ha già una sua importanza che non è esagerato definire “storica”, avendo inaugurato presso il pubblico mainstream quel pop-rock contemporaneo che ha poi portato a quello che spesso oggi chiamiamo pop indie (Thegiornalisti, Calcutta, Motta, Pinguini Tattici Nucleari). Certo, il calibro dei pezzi dei primi anni, quali Dedicato a te Ovunque andrò, non si è poi più ritrovato, complici anche i vari cambiamenti ed episodi di stop-and-go nella formazione: Tantissimo comunque è un pezzo rock molto solido, un po’ prevedibile nell’arrangiamento e nell’interpretazione, che nella prima esibizione è stata anche un po’ incerta. Non è un capolavoro ma si fa ascoltare.
Voto: 6

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Emma – Ogni volta è così

Rispetto ai suoi esordi, caratterizzati da una vocalità potente ma sgraziata e a tratti volgare, Emma ha perfezionato il suo approccio, che resta comunque aggressivo e imperioso anche nelle parti più melodiche. Dopo aver portato al Festival due brani da galera, entrambi dei Modà (uno ha anche vinto, per dire come eravamo messi nel 2012), oggi ci riprova con un pezzo scritto con i due onnipresenti Dardust e Davide Petrella. Il tema, l’indipendenza femminile contro quello che gli esperti chiamano il mansplaining, è fatto su misura per l’interprete, da sempre in prima linea per i diritti delle donne: dal punto di vista musicale il pezzo è però abbastanza stantio, anche se sembra ovviamente un capolavoro rispetto alle porcherie dei Modà. Sul palco, l’asso nella manica è la direzione d’orchestra affidata a Francesca Michielin, amatissima da critica e pubblico e applaudita anche più dell’interprete. Se conosco le donne, l’amicizia tra le due finirà a bottigliate. Ops, forse ho fatto del mansplaining.
Voto: 5

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Matteo Romano – Virale

Matteo Romano è, come Yuman, un altro esordiente catapultato tra i BIG forse inappropriatamente: approccio interpretativo e presenza scenica sono davvero molto acerbi, proprio come ci si aspetta da un cantante che finora si è esibito quasi solo sui social. D’altro canto oggi questi ultimi sono lo strumento primario tramite cui le nuove generazioni fruiscono la musica: come si fa, quindi, a non considerarli alla stregua di una vera e propria gavetta? Virale è un pezzo di elettropop moderno e a suo modo ‘classico’, dalla linea melodica interrotta e variabile, arricchita da un buon arrangiamento (di Dardust, e chi sennò?) e potenzialmente capace di ‘prendere’ in radio. Però confessiamo che questo sound comincia già a sembrarci un po’ troppo omogeneo e ripetitivo, e non più sufficiente ad ‘alzare’ il pezzo rispetto agli altri in gara.
Voto: 5

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Iva Zanicchi – Voglio amarti

L’inossidabile Iva, che negli scorsi decenni ha dissipato la gloria della sua mirabile carriera musicale in sciocchi programmi televisivi e nelle oscenità reazionarie profuse nel ruolo di esponente politica, torna finalmente a quella che avrebbe dovuto essere la sua sola professione: la cantante. E lo fa con una potenza e una energia davvero mirabili se consideriamo i suoi 82 anni di età. Certo, il pezzo è decisamente vintage, non solo per scelta estetica ma proprio per genesi oggettiva (l’autore Italo Ianne la scrisse negli anni Ottanta, ma Iva l’ha sempre tenuto nel cassetto): la nuova produzione tenta di darle un’aria contemporanea tramite un arrangiamento non disprezzabile, che vanta anche uno special strumentale a base di chitarra elettrica. L’incedere inesorabile e quasi marziale dell’inciso risultano, peraltro, sicuramente più moderni delle grandi aperture melodiche del pezzo di Ranieri. Non può certo puntare alla vittoria né a scalare le classifiche, ma è un’operazione nel complesso più che dignitosa.
Voto: 6

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Ditonellapiaga e Rettore – Chimica

La scomparsa dalle scene di Rettore è stata, negli scorsi decenni, un dispetto davvero notevole: questa cantante ha un’importanza molto sottostimata nella storia della musica italiana, essendo stata tra i primi in assoluto a portare al successo, tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, pezzoni dance, punk e financo ska (il mitico Donatella) assai avveniristici per l’epoca, il tutto con un piglio ironico e dissacrante di cui successivamente si è sentita molto la mancanza. Il suo ritorno è dunque benvenuto, così come è appropriato che le si affianchi la giovanissima Ditonellapiaga, alias di Margherita Carducci, classe 1997, pronta a colmare con la sua energia la vocalità non più in formissima della ‘vecchia’ star. Il pezzo è un simpatico divertissement dance, con ritornello-tormentone quasi inconsistente dal punto di vista musicale e con interessante special melodico dalle tinte disneyane, efficace contrappunto al ritmo che lo avvolge. Il tutto è intessuto da notevole verve ironico-satirica, che emerge ancor di più nell’imperdibile videoclip. Non entrerà nella storia, ma è simpatico e piacevole. E poi è Rettore: lei può tutto.
Voto: 7

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Elisa – O forse sei tu

Giudicare questo pezzo e la sua interprete, favoritissima dai bookmaker e già piazzata in testa dalla sala stampa, non è per niente facile. Elisa è indubitabilmente una bravissima cantante, e la sua lunga esperienza e la padronanza invidiabile con cui governa la voce si irradiano sul palco con grande potenza, finendo col mettere un po’ in ombra tutto il resto. Detto questo, però, bisogna avere il coraggio di scrivere che O forse sei tu, scritto dalla stessa interprete con Davide Petrella, è un pezzo furbissimo, che sembra costruito con l’unico e il solo scopo di far brillare il talento e il mestiere di cui sopra. Musicalmente è niente più che una bella melodia da cantare a squarciagola mentre si guida in autostrada; il testo, per parte sua, cerca di costruire metafore poetiche senza riuscirci e risultando, a conti fatti, un po’ incompiuto. È una bella canzone, di quelle belle canzoni di cui si dice “è una bella canzone” ma di cui poi rimane poca traccia nella mente e nel ricordo. È, per dirla nel modo che piace a noi storici dell’arte, un’opera puramente manieristica. Ed è anche, nel 2022, un’opera un po’ sorpassata, soprattutto se paragonata a quella ballad autenticamente contemporanea che è Brividi. Se vince, come sembra probabile, vincerà lo sguardo verso il passato e perderà lo sguardo verso il futuro. Io tifo per quest’ultimo.
Voto: 7

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Fabrizio Moro – Sei tu

Autore non disprezzabile, Fabrizio Moro è specializzato in due tipologie di pezzi: il pistolotto retorico paraculo, di cui è esempio piacevole Pensa ed esempio tremendo Non ci avete fatto niente (entrambe vincitrici del Festival), e il lento intimista a tema sentimentale, di cui è esempio di buon livello Portami via del 2017. Sei tu è fin troppo affine a quest’ultimo: all’intro al pianoforte e alla strofa in calando fanno da contrappunto un inciso su toni alti, sui quali la voce dell’interprete secondo noi rende molto meno, risultando un po’ troppo graffiante e aggressiva. Di primo impatto, il pezzo sembrerebbe più adatto alle corde di un interprete femminile con tonalità da contralto, come Fiorella Mannoia, con cui Moro ha infatti già collaborato.
Voto: 5

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Tananai – Sesso occasionale

Il terzo “giovane” promosso tra i BIG è decisamente più preparato per l’esperienza: Tananai ha alle spalle già un album in inglese, un EP in italiano e una carriera nella produzione musicale più che rispettabile. Sesso occasionale riprende e amplia la poetica già vista in azione nel pezzo portato a Sanremo Giovani, Esagerata: è pop contemporaneo ironico e sbarazzino, con andamento diseguale ma molto strutturato e con arrangiamento solido e stratificato. Certo, non è esattamente qualcosa di inedito: il fraseggio ci ha anzi ricordato successi sia recenti (L’esercito del selfie di Takagi & Ketra) sia ‘storici’ (le hit sanremesi di Francesco Salvi). L’esibizione live è stata abbastanza disastrosa, ma il pezzo merita.
Voto: 6

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Irama – Ovunque sarai

Specializzato in hit estive e tormentoni ritmati, Irama, che l’anno scorso fu costretto a partecipare al Festival in contumacia causa Covid, spariglia le carte e si presenta questa volta con un lentazzo dalla melodia prevedibile e dal testo caratterizzato da poetica esile, incentrata nel ricordo di una persona scomparsa. La voce dell’interprete però non sembra del tutto adatta: pur cantando con partecipata sensibilità, Irama fatica a tenere il passo soprattutto sui toni alti, e ha un timbro profondo che mal si confà alle atmosfere che il brano vorrebbe evocare. Non ci convince proprio.
Voto: 4

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AKA 7even – Perfetta così

Il giovane AKA 7even, pseudonimo di Luca Marzano, nasce artisticamente come rapper, ma come spesso succede si presenta al grande pubblico con un pezzo pop-rock. Perfetta così è un brano molto classico, dal sound internazionale, non particolarmente spiacevole ma nemmeno particolarmente mirabile, e caratterizzato da una tematica molto usurata, ovvero l’accettazione di sé (declinata, manco a dirlo, al femminile). È un po’ un peccato perché siamo convinti che nella sua produzione ‘altra’ questo artista abbia realizzato opere molto più originali.
Voto: 5

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Highsnob e Hu – Abbi cura di te

Highsnob, pseudonimo di Michele Matera, è un cantante rap avellinese di classe 1985; Hu, pseudonimo di Federica Ferracuti, è cantante e polistrumentista fermana di classe 1994. In tutta onestà non avevo mai sentito nominare Highsnob prima di questo Festival; Hu invece mi è familiare avendo già partecipato a Sanremo Giovani nel 2020, con un pezzo molto originale intitolato Occhi Niagara. Il duetto funziona molto bene: Abbi cura di te è un brano multiforme e forse un po’ disequilibrato, che giustappone una strofa rap a un inciso più melodico, sostenuto da percussioni profonde e assertive, che conferiscono alle liriche molto semplici una profondità inusitata. La tessitura musicale riesce a coinvolgere molto l’orchestra pur nell’ambito di arie molto semplici: l’unico elemento che può e deve migliorare è l’approccio interpretativo, incerto e un po’ ingordo nell’aggredire le parole.
Voto: 6

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