RSS Feed

Referendum del 12 giugno 2022: dichiarazione di voto

0

June 8, 2022 by Mosè Viero

Domenica 12 giugno 2022 gli italiani sono chiamati a recarsi alle urne per esprimersi in cinque referendum a tema giustizia: le urne saranno aperte dalle 7 alle 23 e in alcuni Comuni la consultazione si combinerà con le elezioni amministrative. Questa tornata referendaria si deve soprattutto all’iniziativa dei Radicali Italiani, ma per quanto riguarda i referendum per i quali saremo chiamati a esprimerci ha dato una mano decisiva nella raccolta delle firme anche la Lega Nord, più qualche altro piccolo partito di area liberale. Va detto che i referendum più appetibili per il grande pubblico sono stati tutti cassati dalla Corte Costituzionale: non avremo modo di esprimerci sull’eutanasia, sulle droghe leggere, sulla responsabilità civile dei magistrati. I quesiti che hanno passato l’esame della Consulta sono quelli più tecnici e specifici: difficilmente l’uomo medio si interessa di questioni così approfondite, quindi tutti i commentatori danno più o meno per scontato che non si raggiungerà il quorum, necessario affinché la consultazione sia valida.

Vediamo quali sono le questioni di merito più nel dettaglio.

Il primo quesito, collegato alla scheda rossa, chiede di abrogare la cosiddetta Legge Severino, che sancisce l’incandidabilità dei politici condannati. In Italia chi viene condannato in via definitiva per alcuni reati gravi non può candidarsi alle elezioni, e se è già eletto decade. Chi ricopre una carica amministrativa locale, per esempio un sindaco, viene sospeso anche solo dopo una condanna di primo grado. Se vince il sì, l’incandidabilità e la decadenza non saranno più automatici ma dovranno essere eventualmente decisi dal giudice caso per caso.

Il secondo quesito, collegato alla scheda arancione, chiede di limitare l’utilizzo della custodia cautelare. Quest’ultima è quella che viene spesso chiamata anche “carcerazione preventiva”: il soggetto non è ancora stato condannato, ma lo si tiene in carcere o agli arresti domiciliari durante l’iter processuale. Attualmente è possibile il ricorso alla custodia cautelare in tre casi: per pericolo di fuga, per pericolo di inquinamento delle prove e per pericolo di reiterazione del reato. Se vince il sì, quest’ultima motivazione, che è alla base del 70 per cento delle richieste di custodia cautelare, non potrà più essere utilizzata: resteranno solo il pericolo di fuga e di inquinamento delle prove.

Il terzo quesito, collegato alla scheda gialla, chiede la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante. Attualmente in Italia non c’è separazione delle carriere: questo vuol dire che un magistrato può agire come Pubblico Ministero (cioè avvocato dell’accusa) e poi passare alla funzione giudicante, e viceversa. Se vince il sì, il magistrato deve scegliere se diventare giudice o PM, e manterrà quella funzione per tutta la sua carriera.

Il quarto quesito, collegato alla scheda grigia, riguarda il processo di valutazione dei magistrati. Attualmente i magistrati vengono valutati ogni quattro anni, peraltro tramite giudizi comunque non vincolanti, da appositi organismi composti interamente da magistrati. Se vince il sì, queste valutazioni verranno date da organismi composti non solo da magistrati ma anche da professori di diritto e avvocati.

Il quinto quesito, collegato alla scheda verde, riguarda le procedure di elezione dei membri del CSM. Il Consiglio Superiore della Magistratura è il supremo organo di autogoverno dei magistrati ed è composto da 24 membri, 8 eletti dal Parlamento e 16 dagli stessi magistrati. Attualmente il magistrato che voglia candidarsi all’elezione nel CSM deve accompagnare la sua candidatura con almeno 25 firme di altrettanti prestigiosi colleghi: se vince il sì, quest’obbligo scompare e chiunque potrà candidarsi.

Come si capisce da queste spiegazioni pur ultra-semplificate, si tratta di questioni senza dubbio importanti ma appunto assai specifiche, riguardo alle quali è difficile coinvolgere l’opinione pubblica tramite un serrato dibattito quale ci può essere sui grandi temi etici quali il divorzio, l’aborto, le droghe, l’eutanasia. Per quanto mi riguarda i referendum dovrebbero essere limitati a tematiche come queste, e non mi ha mai convinto la retorica radicale del “potere al popolo” che ha portato nel corso degli anni a consultazioni improbabilissime, riguardanti argomenti di cui chi non è del ramo non sa nulla o quasi. Anzi, trovo paradossale che i radicali e i loro figli più o meno legittimi (per esempio +Europa) prendano in giro i grillini per le loro bislacche idee sulla democrazia diretta e sull’uno vale uno quando con i referendum sono loro stessi a sdoganare l’idea che tutti debbano esprimersi su tutto, come se si potesse davvero chiedere a un operaio o a una casalinga (o a una guida turistica!) di diventare, per una domenica, esperto di diritto costituzionale.

Detto questo, è anche vero che votare è sempre un’esperienza piacevolissima, quasi inebriante, perché ti fa sentire parte di una comunità evoluta e democratica, e che talvolta i referendum, anche quando falliscono, servono comunque a “dare un calcio” a certe istanze che il Parlamento non prenderebbe mai in considerazione di sua spontanea volontà. Nel caso di specie, i quesiti su cui dovremo esprimerci riguardano un problema enorme e singolarmente rimosso dal dibattito pubblico, ovvero lo strapotere della magistratura e le storture collegate al suo funzionamento.

Qui potremmo aprire mille parentesi che potrebbero portarci anche molto lontano. La magistratura in fondo è un potere come un altro, esposto a tutte le debolezze e gli abusi che ogni forma di potere sempre comporta. Ma il discredito della classe politica, a partire dagli anni della cosiddetta “Tangentopoli”, ha avuto come effetto collaterale, caso unico in tutto il panorama europeo, una sorta di mitizzazione del magistrato, dipinto allora ma molto spesso ancora oggi come una specie di paladino del bene intento a combattere corruzione, ruberie e malcostume. Intendiamoci: in Italia siamo pieni di magistrati validi e coraggiosi, alcuni dei quali hanno anche dato la vita per la loro missione. Però siamo anche pieni, com’è ovvio, di magistrati pavidi, pigri, arrivisti, che nel corso degli anni hanno usato a proprio vantaggio il racconto mediatico giustizialista, quasi sempre a spese di tante vittime più o meno illustri.

I referendum imminenti tentano per l’appunto di porre un freno agli abusi e alle storture del nostro sistema giudiziario. Abrogare la Legge Severino è sacrosanto: la giustizia non può essere utilizzata per selezionare la classe politica, e la decadenza dagli incarichi elettivi dev’essere una extrema ratio, decisa caso per caso, senza alcun automatismo. Ne va del supremo principio della separazione dei poteri: ai giudici spetta il compito di perseguire i reati, ma la selezione della classe politica spetta solo al cittadino, non certo ai giudici. La custodia cautelare è un’abitudine barbara e incivile: negli ultimi trent’anni, più di 30 mila persone sono state incarcerate preventivamente e si sono poi dimostrate innocenti. Sono numeri inaccettabili per un paese civile. La separazione delle carriere è il minimo indispensabile per una magistratura con un minimo di credibilità: come posso dar fiducia a un sistema in cui la stessa persona può ricoprire il ruolo dell’accusa e quello del giudice ‘terzo’, trovandosi così a stretto giro a dover giudicare l’operato di colleghi e amici? Il processo di valutazione dei magistrati non può essere affidato ai magistrati stessi: chi mai biasimerebbe pubblicamente l’operato di un collega con cui lavora magari tutti i giorni fianco a fianco? Infine, la candidatura a membro del CSM dev’essere libera da impedimenti: altrimenti solo chi fa parte di una corrente troverà il necessario sostegno, col risultato che il CSM sarà interamente politicizzato.

Certo, chi critica i referendum ha buon gioco nel dire che se anche vincessero si tratterebbe di quello che i giornalisti amano chiamare un “pannicello caldo”, ossia poca cosa rispetto a quello che sarebbe necessario, ovvero un rivoltamento del nostro sistema giudiziario da capo a piedi. Per attuare il dettato costituzionale, incentrato sulle garanzie, occorrerebbe smontare completamente il sistema delle correnti, introdurre la responsabilità civile per i magistrati, prevedere pene altissime per chi spifferi notizie, intercettazioni e interrogatori ai giornali, e pene ancora più alte per chi osi pubblicare tutto. Purtroppo però la magistratura politicizzata comanda incontrastata il nostro sistema della giustizia: basta vedere chi fa carriera, chi compare in televisione, da chi sono monopolizzati i talk show anche del servizio pubblico. E basta vedere anche quanto le forze politiche sono asservite alla magistratura politicizzata, probabilmente per timore di ritorsioni: i partiti che sostengono entusiasticamente questo referendum sono i più piccoli e deboli (+Europa, i Radicali, Italia Viva, Forza Italia, Azione), i “grandi” sembrano o del tutto disinteressati (PD, Lega) o schierati apertamente per il no o per l’astensione (M5S, Fratelli d’Italia). Particolarmente paradossale è la posizione della Lega, che fu tra i promotori dei referendum e ora sembra quasi vergognarsene: segno che da quelle parti le battaglie si cavalcano solo se solleticano gli umori dell’elettorato, non certo per ragioni ideali o per qualche progettualità politica.

Probabilmente servirà a poco, ma io domenica voterò con 5 convintissimi SÌ. E penso che chiunque abbia a cuore le sorti della Giustizia dovrebbe fare altrettanto.


0 comments »

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *