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Landini ha ragione? Chiedetemelo tra vent’anni

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March 31, 2015 by Mosè Viero

Quando accompagno un gruppo di turisti a una mostra di arte contemporanea, metto subito le mani avanti: per ‘raccontare’ come si deve un’opera dell’ingegno, affermo con sicumera, bisogna avere un minimo di prospettiva storica. La storia dell’arte è in realtà la storia dei capolavori, ossia delle opere che hanno fatto scuola. Più in senso lato, è la storia del senso estetico delle varie epoche: ma per poter parlare con cognizione di causa di qualcosa che riguarda un’epoca, bisogna come minimo che quell’epoca sia conclusa. (E questo, en passant, apre milioni di interrogativi. Chi decide quando un’epoca è conclusa? Deve trattarsi di una contingenza che ha scosso i contemporanei o che ha avuto strascichi a lungo termine? Meglio l’approccio hegeliano o quello crociano? Perché Morgan ha abbandonato X Factor?)

La questione non riguarda, in realtà, solo le opere dell’ingegno: qualunque atto compiuto da un essere umano ha conseguenze a breve raggio e conseguenze ad ampio raggio. Il compito dell’addetto alla didattica in un museo di arte contemporanea è arduo tanto quanto il compito dell’analista dell’attualità politica. Per non parlare poi di chi non è analista né in alcun modo esperto della materia e viene periodicamente buttato dentro una cabina elettorale con una matita in una mano e una lenzuolata di simboli di dubbio gusto nell’altra. Diciamoci la verità: la democrazia rappresentativa è un pacco soprattutto perché il voto è riservato ai contemporanei.

È, questa, una autocoscienza che soprattutto noi di sinistra dovremmo deciderci a compiere fino in fondo. Si abbia il coraggio di urlarlo al mondo: noi di sinistra abbiamo dato il nostro voto, negli ultimi vent’anni, a gente la cui visione politica è stata lucida e brillante come la carrozzeria di una macchina finita dentro una discarica. L’esempio migliore della nostra demenza è forse il seguente paradosso. Si pensi a Romano Prodi: un uomo che oggi, retrospettivamente, brilla nei nostri ricordi come un politico integerrimo, risoluto, cazzutissimo. Conosco gente di sinistra che pur di vederlo salire al Quirinale si sarebbe incatenata ai corazzieri e avrebbe messo all’asta quarti di deretano. Prodi è l’unico leader di sinistra che ha sconfitto Berlusconi due volte! Prodi non ha mai voluto fare accordi col Grande Evasore! Prodi ha guidato l’Armata Rossa durante la Lunga Marcia! Ebbene, *nessuno* di questi comunistoni che oggi rimpiangono Prodi ha mai, a suo tempo, votato per lui. A suo tempo Prodi ci sembrava, a noi irriducibili di sinistra, uno squallido democristiano. Il nostro voto, puro e cristallino come l’acqua di fonte, andava a un comunista vero: Fausto Bertinotti. Uno che è talmente comunista che adesso passa il suo tempo saltellando tra un salotto e l’altro dell’aristocrazia romana. Uno che, finalmente eletto presidente della Camera, decise come suo primo atto di istituire il Presepe ufficiale della Camera. Giusto, è per quello che ti abbiamo messo lì.

Al netto di eccessi critici o agiografici, penso che nessuno di sinistra oggi avrebbe il coraggio di dire che il suo voto per Rifondazione Comunista sia stato, in quegli anni, un buon investimento. I governi migliori che la cosiddetta Seconda Repubblica ha avuto sono anzi stati ostacolati proprio dalle velleità egemoniche dei capi e capetti della sinistra: pur con tutti i limiti anche insopportabili che presentavano, i due governi Prodi erano il meglio che ci si potesse permettere, e sono caduti non a causa dei loro avversari bensì a causa dei maneggi di D’Alema e Bertinotti. Oggi ci spelliamo le mani quando il Travaglio di turno ce lo fa notare, ma all’epoca eravamo anche noi a remare contro.

Il problema sembra ripresentarsi anche in questo 2015. Naturalmente la situazione è completamente diversa, e rileggerla secondo lo schema appena delineato è improprio e fuorviante. Eppure c’è chi lo fa: lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo, che è una specie di Fabio Volo solo leggerissimamente più impegnato, ha recentemente dato un’intervista in cui se la prende con Maurizio Landini, affermando che le sue idee sono “inermi”, in quanto “non si misurano mai con la loro realizzazione”. In altri termini, si tratterebbe di idee irrealizzabili. Più nel dettaglio, la tesi è la seguente: ogni volta che la sinistra può finalmente muovere le mani e passare all’azione, c’è sempre una parte della sinistra che si ribella e che all’azione preferisce l’inazione in quanto maggiormente “pura”. Piccolo cita come esempi proprio il nostro Faustone Bertinotti e anche l’incolpevole (per ora) Tsipras.

Nell’intervista si svolazza a un livello più filosofico che pratico. Ogni azione è, in fondo, insoddisfacente: ma tante azioni insoddisfacenti, tanti provvedimenti “non sufficienti” portano comunque la situazione ad avanzare e a non incancrenirsi. Ieri ti ho tolto la scelta del candidato, oggi ti tolgo il voto per il Senato, domani ti toglierò il diritto di parola: ma tra cinquant’anni la somma di tutte queste azioni insoddisfacenti porterà, forse, probabilmente, a un grande progresso. Sempre meglio che stare fermi, no? È una tesi che troverei senza dubbio affascinante, se fossi strafatto di coca.

A me, ma io non sono Francesco Piccolo e quindi senz’altro mi sbaglio, sembrerebbe più normale che un politico o un cittadino sostenga o meno un determinato governo perché fa cose secondo lui giuste, non semplicemente perché fa qualcosa. Altrimenti qual è il senso dell’appartenere a uno schieramento anziché a un altro? In questo preciso momento storico, a me sembra che le fasce più deboli della popolazione non abbiano alcuna rappresentanza politica: quindi mi sembra perfettamente ovvio, e anzi financo tardivo, che nascano aggregazioni e movimenti atti a dare rappresentanza a questa parte di popolazione, e mi sembra altrettanto ovvio che queste aggregazioni e movimenti si dicano di sinistra o che comunque si collochino più da quella parte che dall’altra. Che anche il governo inglobi elementi di sinistra non mi pare c’entri molto con la questione.

Certo, mi tocca ammettere che anche io, nei momenti di debolezza, percepisco nel profondo delle mie corde la vibrazione fastidiosa che mette il buon Landini di fianco al ricordo del cattivo e inutile Bertinotti. Non fino al punto di approdare alla conclusione di Francesco Piccolo: per quanto mi riguarda il governo Renzi è semplicemente insostenibile non tanto e non solo da chi si collochi a sinistra, ma più in generale da tutti coloro che credano nei principi della democrazia liberale, nel merito, nella trasparenza (tutti valori, tra parentesi, più vicini alla destra liberale che alla sinistra).

Il mio problema con Landini non è affatto che le sue idee siano irrealizzabili: anche se Piccolo evidentemente non lo sa, quelle idee non sono mai state davvero messe alla prova dei fatti. Per sapere se sono irrealizzabili, bisognerebbe provare a realizzarle. Il mio problema sposta la riflessione dal piano filosofico al piano pratico: se è vero che una così larga parte della popolazione è priva di rappresentanza, siamo sicuri che le istanze portate avanti dalla sinistra cosiddetta radicale siano quelle atte a rappresentarla? Io, che penso di essere di sinistra pur credendo nei valori liberali di cui sopra, mi riconosco nelle idee di Landini?

Risposta: in alcune sì, in altre meno. Per esempio, credo che una società liberale debba prendersi cura dei più deboli, ma non fino al punto di inchiodare ciascuno al suo ruolo e alle sue tutele a prescindere da tutto. E credo che una sinistra moderna debba essere razionalista e neoilluminista, e che quindi debba smettere di avere paura del progresso e della scienza. Credo anche che il pacifismo radicale sia in netta e irrimediabile contraddizione con l’idea dell’autorità pubblica che si fa nume tutelare della giustizia e della tranquillità sociale.

Sono ovviamente temi molto complessi. Per tornare sul piano filosofico, credo che il problema di tanta sinistra (e sto pensando anche al me stesso di dieci o quindici anni fa) sia l’aver completamente equivocato lo stesso compito storico della sinistra in quanto tale. Ogni buon marxista dovrebbe sapere che il compito della sinistra non è affatto opporsi allo sviluppo del capitalismo. Anzi, il suo compito è, in questa fase storica, esattamente il contrario: il capitalismo deve diffondersi compiutamente in tutto il mondo, perché solo dopo che questo sarà successo potremo finalmente girare pagina. Prima che si possa girare pagina, il capitalismo incarnato nella democrazia liberale resta il sistema più avanzato e moderno di cui disponiamo per gestire la complessità del reale: e chi suggerisce il ritorno a fantomatiche età dell’oro trascorse e perdute è irrimediabilmente fuori dalla storia, oltre che dal buon senso (così come fuori dalla storia e dal buon senso è, d’altro canto, chi propone irrealistiche fughe in avanti). Il compito della sinistra, in questo momento storico, è governare il capitalismo assecondandone i meccanismi virtuosi (per esempio la ricompensa al merito e all’iniziativa) e imbrigliandone le contraddizioni onde evitare ricadute sui deboli e sugli esclusi. E dato che il capitalismo è in continuo e ineguale sviluppo, chi vuole governarlo deve essere pronto a cambiare, anche mettendo da parte schemi apparentemente consolidati e intoccabili.

Quindi: ha ragione Landini? Boh. È troppo presto per saperlo. Volete sapere se Maurizio Cattelan è un grande artista? Chiedete alle guide della Biennale. Vi pentirete di averlo fatto.


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