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La realtà alternativa

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May 15, 2018 by Mosè Viero

I due partiti usciti vincitori dalle ultime elezioni stanno dando vita a una pantomima che ha superato da tempo i confini della decenza: più di due mesi dopo la consultazione elettorale, gli insigni statisti che dovevano guidare il grande cambiamento ancora non hanno idea di chi mettere nel nuovo Governo, e tergiversano cambiando idea (e potenziali alleati) a ogni piè sospinto. Non che ci si debba meravigliare più di tanto, visto che stiamo parlando di un tizio che vendeva panini e che non azzecca un congiuntivo dal ’32 e di un altro tizio che di lavoro fa l’ospite televisivo a spese dei contribuenti. Quel che stupisce, piuttosto, è il fatto che i minus habens che hanno votato per questi due tizi non fanno un plissè, anzi: il consenso per il M5S è più o meno stabile, mentre quello per la Lega è in vertiginoso aumento. Come si spiega?

La risposta a questa domanda, in realtà, è piuttosto semplice. Il voto ai fasciopopulisti non è mai un voto per, ma solo un voto contro. In altre parole: all’elettore medio di Casaleggio e di Salvini non interessa per niente come sarà composto il nuovo Governo, e tutto sommato non gli interessa nemmeno quel che farà. A questo elettore interessava solo “mandare a casa” il responsabile dello sfacelo in cui si trova l’Italia, cioè, ai suoi occhi, il Partito Democratico. E come hanno sconfitto il PD Lega e 5Stelle, non ce la può fare nessun altro: ergo, i minus habens sono soddisfattissimi dei loro rappresentati e non vedono l’ora di ri-votarli.

Ora: lasciamo perdere in questa sede gli alti ideali di chi sostiene che si deve sempre votare per e non contro, che in genere sono condivisibili ma che in casi di emergenza possono anche essere accantonati. Il problema del ragionamento (si fa per dire) dei minus habens è un altro: il problema è che *non c’è nessuno sfacelo*. L’Italia delle legislature Letta-Renzi-Gentiloni, in particolare delle ultime due, stava (e sta) parecchio bene, sicuramente meglio di come stava negli anni precedenti e in ogni caso meglio di gran parte degli altri Paesi del mondo. L’economia è in netta ripresa, i posti di lavoro aumentano, viviamo in pace da decenni, i diritti sono in costante espansione. Ovviamente si può e si deve fare di meglio: e in una democrazia sana è giusto e sano che ci sia uno schieramento che metta in discussione quel che fa chi è al Governo e che proponga strade alternative. Ma nelle ultime elezioni non abbiamo visto questo: a scagliarsi contro il Governo non c’era nessuna visione alternativa, ma solo la descrizione di una realtà alternativa. Secondo la quale l’Italia è un Paese vessato da corruzione e malgoverno, piegato da una “casta” di politici e banchieri (o medici, o professori) senza scrupoli, e i cui cittadini faticano letteralmente a sopravvivere. Chi se lo è perso legga questo impagabile commento di un grillolegoide a un twitter di Cirino Pomicino:

Secondo questo esemplare di minus habens, De Gasperi non veniva da un ventennio di malgoverno. No, infatti: veniva solo dopo il Fascismo e dopo due guerre mondiali, cosa vuoi che sia?

Il problema plasticamente rappresentato da questa totale e assoluta incapacità di leggere la realtà è drammatico. Le sacrosante lamentele di chi si trova in situazioni di oggettiva difficoltà sono diventate il volano per demolire istituzioni che sono nate proprio con l’obiettivo di tutelare i più deboli. Legioni di elettori, magari in buona fede (non che questo li assolva, sia chiaro), hanno sostenuto e sostengono, con l’obiettivo di risolvere la “disperazione” dei “cittadinani”, movimenti reazionari se non eversivi, che fanno scempio delle più elementari regole di convivenza civile e di rispetto per i meccanismi della democrazia parlamentare. È lo stesso meccanismo che ha portato all’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti. Il suo slogan era Make America great again, come se l’America di Obama non fosse sufficientemente great, come se non fosse lo Stato più potente del mondo o quasi. Dato che proporre strade alternative per migliorare l’esistente è troppo complicato, si cerca il consenso convincendo il popolino di essere nel peggiore dei mondi possibili, così da poter dare la colpa del disastro a chi è già al potere.

E c’è da dire che al giorno d’oggi convincere il popolino di essere vessato, tradito e umiliato è facile come rubare una foglia di lattuga a una lumaca. Da buoni figli dell’Occidente pasciuto, non abbiamo la minima idea di cosa voglia dire essere in situazioni davvero drammatiche: per esempio in guerra, o senza cibo, o senza la libertà di essere ciò che siamo. Come dimostra lo screenshot qui sopra, abbiamo completamente perso la memoria di ciò che siamo stati, di quanto è stato difficile arrivare dove siamo, di quanto sia facile tornare indietro. Il non poterci permettere un nuovo cellulare ogni anno ci sembra grave tanto quanto non avere di che riempire la pancia: siamo persone piccole e meschine, concentrate sul nostro ombelico, invidiose di chi ha più di noi, come se avere dei diritti volesse dire che tutto è un diritto.

L’economia marxista afferma che le guerre sono una necessità del capitalismo per sopravvivere: ho sempre più l’impressione che sia una affermazione fin troppo ottimista. Ad avere bisogno della guerra forse è l’umanità stessa, che dopo un certo periodo di benessere diventa del tutto incapace di guardarsi attorno, di dare valore alle cose, di accordare l’azione col contesto.


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