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La laicità, ovvero la pre-politica

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May 13, 2019 by Mosè Viero

Si è appena concluso a Rimini il XII Congresso Nazionale dell’UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, di cui il sottoscritto fa parte, oggi come semplice socio e fino a qualche anno fa anche come dirigente locale. Più di centocinquanta delegati da tutta Italia si sono riuniti per eleggere il nuovo Comitato di Coordinamento e per discutere le linee-guida dell’azione futura: sui tre candidati presenti, ha vinto con una maggioranza netta Roberto Grendene, già membro del CC in passato nonché già coordinatore del Circolo di Bologna. Si è affermata in un certo senso l’opzione della ‘continuità’: la lista Grendene rivendicava il lavoro svolto negli ultimi anni, all’insegna di una UAAR autorevole e ‘composta’, che concentri il suo lavoro sull’essere un punto di riferimento per i diritti dei non credenti anziché sulle discussioni filosofico-teologiche. Tra i due sconfitti, Francesco Salvini auspicava un rinnovamento soprattutto sul versante della comunicazione, interna ed esterna, mentre Giancarlo Straini spingeva per una completa rifondazione che passasse addirittura attraverso uno scioglimento dell’associazione. Ecco il nuovo Comitato di Coordinamento in tutto il suo splendore. Da sinistra Giorgio Maone, Cinzia Visciano, Massimo Maiurana, Manuel Bianco, il Segretario Roberto Grendene, Rossana Lavagna, Elisa Corteggiani, Adele Orioli e Paul Manoni.

Ma più che le dinamiche interne, che da fuori interesseranno abbastanza poco, val la pena ricordare quel che l’UAAR è impegnata a fare verso l’esterno, per la società italiana. Ecco alcuni esempi scelti tra la moltitudine di campagne, eventi e servizi offerti dall’associazione:
– La campagna Testa o croce? Non affidarti al caso, contro l’obiezione di coscienza dei medici presso le strutture sanitarie pubbliche. Il principio apparentemente giusto dell’obiezione di coscienza viene, in Italia, costantemente distorto e strumentalizzato. Le gerarchie cattoliche e i politici compiacenti usano l’obiezione di coscienza per piazzare nei posti chiave, e per promuovere, medici che impediscono al cittadino di fruire di diritti garantiti dalla Legge. Ma se si hanno problemi di coscienza per esempio nel fare aborti, basterebbe scegliere una carriera medica differente.
– La campagna La fede non è uguale per tutti: non esponiamola nelle scuole, erede della mitica campagna Scrocifiggiamo l’Italia! dei primi anni duemila. L’Italia non ha una religione di Stato: quindi perché i simboli di una religione dovrebbero essere esposti negli edifici pubblici, e in particolare in quegli importantissimi edifici che sono le scuole, dove si formano i liberi cittadini di domani?
– La campagna #chiedilialoro, dedicata ai costi della Chiesa per lo Stato italiano. Perché l’autorità pubblica dovrebbe pescare sempre nelle tasche dei cittadini quando c’è un’istituzione religiosa afferente a un altro Stato che drena costantemente risorse pubbliche senza che nessuno faccia una piega? Per quale motivo i non credenti dovrebbero essere costretti a finanziare una religione?
– I mitici Darwin Day, organizzati dai Circoli UAAR in tutta Italia, nei quali si approfitta del ‘compleanno’ di Charles Darwin il 12 febbraio per mettere in piedi conferenze, dibattiti e spettacoli non solo sul tema dell’Evoluzionismo ma più in generale sul pensiero scientifico e razionale. Di cosa può esserci più bisogno, nell’era delle bufale e dei complottismi?

Il vero problema relativo alla laicità in Italia è che ben pochi cittadini si rendono conto dell’importanza della questione. Anche tra le persone più impegnate e ‘militanti’, c’è sempre qualcosa di più urgente di cui occuparsi. La cosa, in realtà, non deve sorprendere: la laicità è una questione squisitamente pre-politica, e per questo meno appassionante rispetto alla politica. Intendendo quest’ultimo termine in senso lato, come qualunque cosa che richieda uno schierarsi, e quindi un dibattito, una opposizione, uno scontro, anche solo retorico.

Per spiegarmi meglio farò una metafora. Io sono un grande appassionato di giochi da tavolo. Quando si intavola un gioco, si devono anzitutto spiegare le regole, che possono essere anche molto complesse. Una volta comprese le regole, si può cominciare a giocare. Quel che interessa ai convenuti è, per l’appunto, giocare: cioè competere contro gli altri, utilizzando le regole del gioco per avere la meglio. La parte relativa alla spiegazione delle regole è la parte noiosa della serata: d’altro canto, è una parte indispensabile, dato che non si può giocare se non si conoscono le regole. Dato che, soprattutto, chi le conosce meglio di altri può adoperare questa situazione per ritagliarsi un vantaggio tecnicamente ingiusto. D’altro canto, chi interrompe una partita per andarsi a rileggere le regole spesso passa per un rompiballe, che sta rovinando il divertimento altrui.

La vita collettiva in una società democratica è un po’ come un gioco da tavolo: solo se tutti conoscono le regole e le applicano la società può davvero funzionare. Le regole, però, devono garantire a tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri: se non lo fanno, bisognerà lottare per cambiarle. Perché il “gioco democratico” ha regole che possono cambiare nel tempo. Il problema è che cambiare le regole o anche solo occuparsi di esse è assai più noioso che non buttarsi nella mischia dello scontro politico: cioè, per rientrare nella metafora, è più divertente giocare che non studiare il regolamento.

Il cittadino consapevole e impegnato ha anzitutto urgenza di definire se stesso in seno allo scontro politico: sono di destra o di sinistra, liberale o statalista, nazionalista o internazionalista, eccetera. Ma non dovremmo mai dimenticare che lo scontro politico non ha nessun senso se non parte da premesse identiche per tutti. Tutti devono sottostare alle stesse Leggi, avere gli stessi diritti e gli stessi doveri.

La laicità dello Stato, o per meglio dire l’assenza della medesima, è in Italia il più grosso vulnus tra le premesse del “gioco democratico”. Nel nostro Paese ci sono cittadini “più uguali degli altri”, per usare termini orwelliani: e non perché nascono più ricchi, che è un fattore determinato semplicemente dal caso, ma perché scelgono una determinata fede religiosa anziché un’altra. L’aspetto più privato in assoluto nella vita dell’individuo, ossia la sua inclinazione spirituale e filosofica, viene utilizzato, nella nostra società, per creare una disparità di diritti e di doveri tra cittadini che è assolutamente inaccettabile.

E questo vale al di là e a prescindere dalla propria posizione politica: perché stiamo parlando, appunto, di pre-politica. Ecco perché una associazione come l’UAAR è doppiamente meritoria: perché è ‘costretta’ a mettere assieme persone di ogni colore politico, con tutte le conseguenze del caso, per far sì che la linea di partenza sia uguale per tutti. Mentre il cittadino militante ‘medio’ è impegnato a ‘giocare’, l’UAAR studia le regole e lotta perché siano uguali per tutti. Se è così, ne consegue che l’adesione all’UAAR e alle sue battaglie dovrebbe essere, per ciascun cittadino consapevole, premessa indispensabile di qualunque altra istanza. Difendiamo la laicità, o la nostra identità politica finirà col non avere più senso.


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