Opinioni are for boys, Interessi are for men
0March 6, 2018 by Mosè Viero
È ancora presto per valutare in profondità le conseguenze del disastroso voto di domenica. Che i vincitori si copriranno di ridicolo è certo: resterà da vedere se andranno nel baratro da soli o trascinandosi dietro tutto il Paese. Quanto alle ragioni dietro al disastro, gli opinionisti si sono sbizzarriti: il Partito Democratico sarebbe stato visto come l’incarnazione dei “Poteri forti”, avrebbe perso il contatto con il “Paese reale”, avrebbe pagato l’autoreferenzialità della sua dirigenza, e via ipotizzando.
Un tema che sta andando per la maggiore si collega proprio con quest’ultimo punto: nel suo discorso di analisi del voto, il Segretario del PD Matteo Renzi avrebbe perseverato nella sua ottusa arroganza, annunciando dimissioni ma sospendendole al contempo nell’attesa della nascita di un nuovo Governo e quasi criticando gli elettori anziché riconoscere i propri errori.
Ebbene, io non condivido affatto queste critiche all’attuale e moribonda dirigenza del PD. Per cercare di spiegare perché non le condivido, racconterò una piccola parabola. Ultimamente, sto avendo delle traversie legali e quindi ho arruolato un avvocato per difendere i miei interessi. Periodicamente lo contatto per cercare di capire cosa sta combinando; ogni tanto me lo spiega, ma il più delle volte mi scarica con qualche parola vaga. In una occasione ho perso la ragione e l’ho preso a male parole: ma come, con tutti i soldi che ti do tu non mi spieghi neanche cosa stai facendo a nome mio? Lui mi ha preso sottobraccio come si fa con quelli un po’ duri di comprendonio e mi ha spiegato che quel che mi dice è già troppo: un avvocato non dovrebbe mai condividere le sue strategie, neanche con il cliente. Il motivo è presto detto: un tizio qualunque come il sottoscritto, del tutto ignaro dei meccanismi con cui funzionano mediazioni e cause, potrebbe avere in mente percorsi e strategie del tutto improbabili, che finirebbero col danneggiare la sua posizione. Compito dell’avvocato è difenderti anche se sei un cretino e/o un ignorante e dunque ha il dovere di trascurare completamente i tuoi ‘ordini’ se questi finirebbero col danneggiarti.
Mutatis mutandis, l’equivoco in cui si incorre quando si analizza il crollo della sinistra è tutto qua: si confonde la vicinanza alle idee delle classi subalterne con la difesa dei loro interessi. Si pensa, cioè, che chi si vanta di girare per i mercatini rionali e che quindi parla lo stesso linguaggio dei più sfigati sia automaticamente dalla loro parte nel momento in cui agisce politicamente. Questa convinzione è, se mi si permette il francesismo, una solenne stronzata. Non si è di sinistra se si è contigui alle classi subalterne dal punto di vista ideologico o linguistico: si è di sinistra se si difende l’interesse delle classi subalterne. Ed è possibilissimo che a difendere meglio gli interessi delle classi subalterne sia un politico che apparentemente vive nella sua “torre d’avorio”: anzi, il più delle volte è proprio così.
Facciamo un esempio. L’Unione Europea ha migliorato o peggiorato lo stile di vita delle classi subalterne? Chiunque abbia più di due neuroni e abbia studiato non solamente all’università della vita sa benissimo che l’Unione Europea ha migliorato enormemente il benessere delle classi subalterne. Anche solo garantendo la pace, favorendo la circolazione delle persone (e quindi della cultura), uniformando quando possibile la qualità dei servizi. Altro esempio: fa bene o fa male alle classi subalterne la riduzione del debito pubblico con conseguente austerità? Sul lungo periodo fa benissimo: a pagare il fallimento delle economie nazionali sono sempre (per non dire solo) gli ultimi, dato che chi è privilegiato in qualche modo si salva sempre. Basti pensare a quel che è successo alla Grecia, e che succederà presto anche qua se i vincitori di queste elezioni cercheranno davvero di mantenere le loro promesse.
Quindi chi è davvero vicino agli ultimi? Chi si fa megafono delle loro idee ingenue e nel farlo elargisce promesse che possono distruggere l’economia nazionale? O chi lavora per mantenere la stabilità sul lungo periodo, anche a costo di richiedere sacrifici sul breve periodo? Chi è più di sinistra: Salvini e la Meloni o Monti e la Fornero? In quanti che si ritengono sinceramente di sinistra avrebbero difficoltà a rispondere a questa domanda? Se davvero dobbiamo fare un’analisi della sconfitta, è da questa difficoltà che si dovrebbe ripartire.
La politica è arte complessa. Se nei decenni passati esisteva un partito di sinistra che mobilitava le masse non era certo perché quel partito ripeteva a pappagallo quello che dicevano i più sprovveduti. L’appeal che il Partito Comunista aveva nelle schiere di lavoratori era dovuto al fatto che queste ultime erano subalterne ma politicamente istruite: e sapevano riconoscere chi difendeva davvero i loro interessi, anche agendo in modo magari oscuro o incomprensibile. Quindi il problema di oggi non è far andare i progressisti in mezzo alla gente, cioè abbassare linguaggio e contenuti al livello zero: per quello esistono già i partiti reazionari. Il problema semmai è l’opposto: è alzare la formazione delle classi subalterne, ma anche la loro sensibilità, la loro etica, i loro valori. Al giorno d’oggi la classe operaia è un cumulo di gentaglia razzista, omofoba, protezionista, nazionalista: se un partito si propone di rappresentarla facendosi semplicemente veicolo delle sue idee, quel partito diventa automaticamente la Lega di Salvini. Come si può pensare che essere di sinistra voglia dire questo?
Come già scrissi in altre occasioni, il vero problema della politica contemporanea è che i partiti hanno dimenticato la loro funzione formativa. Il grande leader politico non è colui che dice agli elettori quello che vogliono sentirsi dire: è colui che trascina gli elettori verso un obiettivo, facendo scoprire ai cittadini nuovi orizzonti, di pensiero e di azione. Ed è colui che riesce a costruire attorno a sé fiducia sufficiente da avere l’appoggio dei suoi elettori anche quando compie scelte oscure e discutibili. Perché quel che conta non è il piccolo cabotaggio, ma l’orizzonte, cioè la difesa degli interessi dei più deboli.
Renzi ha sicuramente fatto errori, ma non bisogna cadere nella trappola dell’analisi della sconfitta svolta al ritmo di frasi fatte come “l’elettore ha sempre ragione” o “dobbiamo tornare in mezzo alla gente”. L’elettore che vota Lega o Cinque Stelle ha torto marcio, e se il Segretario del mio partito lo dicesse chiaro e tondo io lo applaudirei. E sarei ancora più felice se magari aggiungesse che no, non dobbiamo tornare in mezzo alla gente: dobbiamo semmai portare la gente da noi. E deve essere gente che accetta le nostre regole: apertura, solidarietà, competenza, razionalità. Deve essere, soprattutto, gente che capisce che è solo accettando queste regole che si può difendere il suo interesse.
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