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Marx disegnato a matita

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January 10, 2015 by Mosè Viero

Per chi come me è cresciuto a pane e satira, il sette gennaio è stato un giorno terribile. Anzitutto per il fatto in sé, ovviamente: un paio di pazzoidi che falcidiano la redazione di un giornale satirico perché pensano sia stato offeso il loro amico immaginario. Ma anche perché nello stesso istante in cui leggevo la notizia sentivo dentro le viscere un chiaro presentimento di ciò che si sarebbe palesato nelle ore, nei giorni e nei mesi successivi: vagonate di ipocrisia, container di idiozia, tonnellate di nuova violenza, verbale e fisica.

Cominciamo dall’ipocrisia. Dopo la strage, sembra che tutto il mondo occidentale consideri improvvisamente la libertà di satira il primo dei valori. Il motto Io sono Charlie Hebdo è diventato parola d’ordine di tre quarti dei miei contatti su Facebook.

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Certo, siamo tutti Charlie Hebdo: tutti irridiamo il potere da mane a sera, e ovviamente siamo tutti atei. Soprattutto, siamo tutti grandi amanti della satira: in particolare noi italiani. Oh sì, noi teniamo gli autori di satira in un palmo di mano. Dev’essere per una serie di strani equivoci che il nostro più importante autore di satira, Daniele Luttazzi, non può mettere piede in alcun canale televisivo, ha subito cause per miliardi, ha dovuto vivere per anni sotto scorta e per questo non ha avuto quasi nessuna solidarietà dal mondo dell’informazione né tanto meno dalla quasi totalità dei cittadini.

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Soprattutto, dev’essere per una serie di strani equivoci che il nostro è il Paese europeo politicamente più condizionato dalla religione cattolica, più arretrato sul piano dei diritti civili, più in basso in tutte le classifiche sulla libertà di espressione. Mi piacerebbe sapere quanti tra coloro che in queste ore “sono Charlie Hebdo” leggono l’oroscopo, si fanno il segno della croce, vanno a messa, pregano, si sposano in chiesa; quanti hanno votato o votano per partiti clericali; quanti ossequiano il loro capo solo perché è il loro capo.

In particolare, però, mi piacerebbe sapere quanti di quelli che “sono Charlie Hebdo” sarebbero favorevoli alle seguenti urgentissime riforme.
1. L’abolizione di ogni tutela legale del sacro, come chiede il segretario dell’UAAR Raffaele Carcano. Nel 1997, il vignettista Vauro venne condannato per vilipendio alla religione cattolica per aver disegnato un Gesù in croce che, commentando l’esortazione alla masturbazione fatta in televisione dal cantante Zucchero, affermava: “Io neanche volendo”. Siamo un paese talmente libero e a favore della satira che a tutt’oggi quella vignetta, che avrei pubblicato volentieri, è introvabile in rete.
2. L’estensione della possibilità di sposarsi e adottare bambini a tutte le coppie, incluse quelle omosessuali. È inutile urlare al mondo di essere contro l’omofobia (parola peraltro essa stessa insopportabilmente ipocrita) se poi non si agisce di conseguenza. L’unico modo per evitare violenza e ghettizzazione verso i gay è dar loro *gli* *stessi* *diritti* *degli* *etero*. (Magari in futuro ci renderemo anche conto di quanto sia ridicolo dividere l’umanità in base ai gusti sessuali: ma andiamo per piccoli passi).
3. L’abolizione di ogni finanziamento pubblico alle religioni. Grazie al meccanismo perverso dell’otto per mille, ogni anno diamo alla chiesa cattolica un miliardo di euro. Anziché spendere i soldi pubblici per promuovere idee di eguaglianza e libertà, li spendiamo per finanziare chi quelle idee le ha per secoli combattute.
4. La rimozione di ogni simbolo religioso e di ogni pratica religiosa da qualunque edificio pubblico. Perché lo Stato dovrebbe associarsi in qualunque modo a un culto religioso? Se vuoi pregare, recitare il rosario, leggere le interiora di pollo o bere del sangue di drago, lo fai nella tua cameretta.

Dall’ipocrisia all’idiozia e alla violenza il passo è breve. L’evento tragico viene utilizzato da molti arguti commentatori non come pretesto per fare riflessioni su dove possa condurre l’irrazionalità propugnata da *tutte* le religioni, bensì per contrapporre la religione buona (la nostra, ça va sans dire) a quella cattiva. Ossia l’islam, descritto come una accozzaglia di gente violenta e intollerante: tutti, dal primo all’ultimo. È interessante osservare come, nei media, la parola “terrorista” e la parola “islamico” vadano quasi sempre in coppia: è diventata una locuzione, un po’ come “tallone d’achille”. Dire “terrorista cristiano” suona male: infatti nessuno lo disse a proposito degli attentati compiuti nel 2011 da Anders Breivik in Norvegia. Quando un bianco compie un gesto folle per motivi religiosi, è solo una mela marcia. Se invece lo fa un islamico, è la prova del fatto che l’Islam vuole conquistare il mondo e farci vivere secondo la sharia.

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Vogliamo tentare un’interpretazione dei fatti che vada oltre l’ipocrisia e il razzismo? L’uomo è, purtroppo, un essere violento. Nessun sistema economico e sociale cancellerà del tutto la violenza, perché il raptus folle può sempre capitare. Il problema vero è quando qualche sistema di pensiero dà alla violenza una cornice nobile: e nessun sistema di pensiero come quello irrazionale disegnato dalle religioni è più adatto a questo scopo. In particolare quello disegnato dalle religioni rivelate, che infatti sono invischiate da sempre in quasi tutti gli eventi violenti che si registrano in giro per il mondo. Il monoteismo rivelato deve prevedere un nemico, altrimenti non ha senso. Se il monoteismo cattolico è più mite di quello islamico, lo è perché il gioco della Storia lo ha messo nella parte più sviluppata del mondo, il cosiddetto Occidente. Ma attenzione: il cosiddetto Occidente non è più sviluppato grazie al cattolicesimo, bensì nonostante il cattolicesimo, che le idee di progresso le ha a lungo combattute (e ancora lo fa, anche se per nostra fortuna non può più farlo con metodi violenti). Se il gioco della Storia avesse messo l’islam dalla nostra parte, oggi l’islam sarebbe mite come il cattolicesimo europeo. Ne è prova il fatto che in determinate circostanze storiche l’islam è stato radicato in territori avanzatissimi per l’epoca: basti pensare agli splendori dell’emirato di Sicilia, durato dal IX all’XI secolo. Il Corano non è più violento della Bibbia: è solo in mano a gente più violenta *in questo momento storico*.

La religione è un prodotto culturale: e vale sia per quando essa nasce sia per come essa si sviluppa. Perché nel mondo arabo e vicino-orientale c’è tutta questa violenza, che talvolta viene ‘importata’ nel nostro mondo più mite? La risposta è molto semplice: perché quel mondo è molto povero e soprattutto perché quel mondo è da sempre sotto attacco militare, principalmente da parte nostra. Sono le condizioni di vita a essere disperate nei luoghi dove cova l’estremismo islamico: quando non è un raptus folle, la violenza è il modo di esprimersi razionalmente elaborato da chi non ha niente da perdere o da chi non accetta il fatto che ci sia chi vive bene e chi vive male.

Il problema di molti commentatori, secondo me, è che antepongono la sovrastruttura alla struttura, come se un famoso uomo con la barba non fosse mai nato e non avesse mai scritto nulla. In un luogo in cui le condizioni di vita sono disperate, il concetto di “libertà di espressione” semplicemente non esiste, perché i bisogni sovrastrutturali possono nascere e svilupparsi solo quando quelli strutturali sono pienamente soddisfatti. Chiedere agli islamici che vivono in luoghi disperati di convertirsi ai nostri valori aperti e liberali (posto che siano davvero i nostri valori: vedi sopra) è semplicemente assurdo: hanno credenze primitive perché il loro stesso stile di vita è primitivo. L’unico vero modo per arginare la violenza razionalmente elaborata è dare valore alla vita: diffondiamo il benessere e allo stesso tempo staremo diffondendo le idee di libertà, di eguaglianza e di giustizia.


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