SOS sinistra, atto III: ILLUMINISMO!
0April 6, 2016 by Mosè Viero
Lo dirò anche a costo di sembrare ripetitivo, cioè anche a costo di sembrare uno che ripete le cose inutilmente: ho sempre pensato che essere di sinistra voglia dire avere consapevolezza dell’inevitabilità della tensione sociale dovuta alla divisione della società in classi. Di conseguenza, ho sempre pensato che il politico di sinistra debba anzitutto preoccuparsi di allentare queste tensioni dando rappresentanza alle classi svantaggiate e provvedendo a una appropriata redistribuzione del reddito.
Dunque la politica nel suo senso più alto, e anche più (positivamente) divisivo e identitario, è questione squisitamente economica. Il problema è che per maneggiare l’economia occorre comprenderne i meccanismi, possibilmente in una prospettiva globale, vale a dire senza considerare i confini del proprio Stato come le colonne d’Ercole di ogni strategia a lungo termine. Quello che spetta al politico di sinistra è un compito estremamente arduo, che richiede sia la capacità di osservare il generale sia la capacità di intervenire nel particolare, possibilmente senza farsi traviare da approcci faziosi o più semplicemente del tutto irrazionali.
La parola chiave è proprio quest’ultima. A causa di tutta una serie di equivoci di carattere etico ed estetico, la sinistra si accompagna spesso a istanze non solo irrazionali ma anche basate su assunti palesemente falsi. A intristire, peraltro, non è solo l’equivoco in sé, ma anche il fatto che i seguaci dell’ideologia spesso identificano il loro essere di sinistra più con queste irrazionalità che non con l’adesione alla teoria economica più sopra (semplicisticamente) delineata.
Non sto alludendo alle patenti assurdità che pascolano in giro per l’internet tipo le scie chimiche, i cerchi nel grano o tutti i complottismi vari ed eventuali, ma a temi assai più importanti e condivisi, che ora racconterò sulla base della divisione in tre insiemi, secondo uno schema del quale peraltro vado molto orgoglioso: l’ecologismo infantile, il finto pauperismo e la tecnofobia.
L’ecologismo infantile è, essenzialmente, la bizzarra convizione secondo cui l’umanità starebbe, con le sue attività, distruggendo il pianeta. Ci può essere un’idea più irrazionalmente arrogante? La specie animale homo sapiens sapiens, la cui storia peraltro è finora brevissima, starebbe annientando un pianeta che prima di sperimentare questo animale ha attraversato tempeste elettromagnetiche, bombardamenti di meteoriti e glaciazioni: niente, evidentemente, in confronto ai nostri temibili sacchetti di plastica. Qualcuno ogni tanto dovrebbe avere il coraggio di dire la tremenda verità: il pianeta se ne scatafotte di noi e se vuole ci ingoia in un sol boccone, come peraltro ogni tanto ci dimostra. Il messaggio ecologista avrebbe un senso solo se fosse declinato correttamente, ossia se venisse sempre esplicitata la sua natura umanista: il problema non è il salvataggio dell’ambiente, che si è sempre salvato e sempre si salverà da solo, il problema è il salvataggio nostro. Cioè: dovremmo preoccuparci della salvaguardia degli ecosistemi che ci circondano per il semplice fatto che anche noi ne facciamo parte. L’unica preoccupazione che dovrebbe avere una associazione ecologista seria è il riscaldamento globale, che è la più grande minaccia che l’umanità sta attualmente affrontando. Perché sì, siamo molto più minacciati dal riscaldamento globale che non dal terrorismo: lo dice la scienza, cioè lo dicono i fatti.
Moltissime associazioni ecologiste, invece, menano il can per l’aia, creando confusione anziché focalizzando l’attenzione sul vero problema. C’è chi vaneggia di “diritti degli animali”, in nome dei quali si bloccano sperimentazioni che potrebbero salvare la vita non solo a noi ma anche a loro; c’è chi protesta contro le fonti energetiche alternative perché deturpano il paesaggio, contribuendo nei fatti al riscaldamento globale anziché contrastarlo; e c’è chi porta avanti battaglie insensate per pure e semplici ragioni di principio, magari anche a spese dei contribuenti.
Ottimo esempio di quest’ultima fattispecie è il dissennato referendum in programma per il prossimo 17 aprile. Gli ecologisti della domenica e i sinistrorsi con le fette di salame sugli occhi lo definiscono “contro le trivelle”: in realtà non riguarda le nuove perforazioni quanto piuttosto la durata delle concessioni per gli impianti di estrazione già esistenti. Ma cosa ci sarebbe esattamente di “ecologico” nella chiusura di impianti già realizzati prima dell’esaurimento della fonte energetica sottostante? Risposta: niente di niente. Anzi, la conseguenza principale della vittoria del “sì” sarà probabilmente l’aumento delle importazioni di energia dall’estero. Come spesso succede, il sottotesto della battaglia sembra: perforate in qualche posto più sfigato e lasciate in pace le nostre coste. La quintessenza del NIMBY (acronimo di Not In My Backyard): che è l’esatto contrario di quella visione globale di cui si parlava all’inizio. Eppure anche persone più che ragionevoli sono schierate per il “sì”, con l’argomentazione: voglio lanciare un messaggio contro l’uso di energie fossili. Ma gli impianti oggetto della consultazione estraggono principalmente gas naturale, che tra i combustibili fossili è senza dubbio il più pulito. La quantità di inesattezze e di imprecisioni anche solo lessicali che impestano la propaganda per il “sì” è semplicemente imbarazzante e può tranquillamente fare a gara con quanto comunicato dai peggiori siti complottari. Con ogni probabilità, l’unico risultato vero che avrà questo referendum sarà screditare ancora di più questo teoricamente nobile strumento democratico.
Il finto pauperismo è la posa estetica di chi si compiace di uno stile di vita apparentemente sano e naturale che non è altro che l’approdo estremo di raffinate strategie di marketing che solleticano il senso di appartenenza dell’acquirente alla parte sedicentemente più avanzata della società. Mi sto riferendo a tutti i movimenti di “decrescita” (promossi di solito, manco a dirlo, da miliardari), ad associazioni come Slow Food con tutti i suoi cloni, all’ossessione per i cibi “bio” (che in genere sono uguali agli altri ma con una diversa etichetta e soprattutto con un diverso prezzo) o per l’alimentazione vegetariana, vegana o macrobiotica.
Ma la palma per l’irrazionalità totale va senza alcun dubbio, nell’ambito di questo insieme, al terrore verso gli OGM, ossia gli Organismi Geneticamente Modificati. Nonostante ci sia da sempre amplissimo consenso scientifico sul fatto che i cibi prodotti da OGM sono assolutamente sicuri, la sinistra militante millanta conseguenze devastanti derivanti dal loro utilizzo e spreca tempo ed energie preziose in improbabili campagne per bloccarli. Volendo alzare lo sguardo, l’equivoco riguarda lo stesso concetto di “naturale”: a sentire certi paladini anti-OGM, sembra che la “Natura” sia un’entità data una volta per sempre, immutabile ed eterna, trasformata (anzi, distrutta) solo dall’attività umana. Eppure tutte le specie animali modificano la “Natura”: e quest’ultima è quella che è proprio in forza di queste continue trasformazioni e di questi continui adattamenti. La nostra specie ha cominciato a selezionare geneticamente gli alimenti nell’istante stesso in cui ha cominciato a coltivare la terra: pensare che ora si debba smettere nell’eventualità remota che possa esserci qualche conseguenza negativa in futuro è una posizione da inquisitore medievale più che da cittadino razionale del XXI secolo.
Il tema degli OGM ci porta dritto al terzo insieme di paure irrazionali: la tecnofobia. La sinistra sembra, in certi momenti, ancorata a una specie di luddismo di ritorno: tutti i nuovi ritrovati della scienza e della tecnologia sono visti come strumenti del demonio, che ci allontanerebbero da uno stile di vita (daje) “naturale”. Ecco allora, giusto per fare qualche esempio, le tirate retoriche su come l’internet stia distruggendo i rapporti “veri” tra le persone (ah, come ci si voleva bene prima di Facebook!), su come i giovani siano continuamente distratti dal cellulare (comunicare coi segnali di fumo era tutta un’altra cosa, signora mia!), su come, più in generale, le comodità ci starebbero facendo dimenticare il valore vero delle cose (chi non rimpiange i tempi in cui per avere una bistecca dovevi uscire con l’arco e le frecce?) Una volta le mie orecchie hanno sentito un qualche teorico dell’auto-flagellazione e del senso di colpa sostenere che un partito di sinistra serio dovrebbe lottare per proibire i condizionatori. Giusto: perché passare un’estate tranquilla e rilassata quando potrei trascorrerla boccheggiando?
Tutte queste irrazionalità dimostrano un terrore completamente ingiustificato, da parte della sinistra, verso la scienza e più in generale verso il pensiero razionale. Da cosa deriva questo terrore? Io ho una mia teoria. È la stessa militanza radicale ad avere questo effetto nefasto. Chi vive intensamente le proprie idee sarà portato a metterle su una sorta di piedistallo e a considerarle indiscutibili. Ma la quintessenza del metodo scientifico e, per estensione, del pensiero razionale è, al contrario, la capacità di mettere in discussione tutto. La sinistra ritroverà se stessa e si ri-sintonizzerà con i veri problemi del mondo quando verrà finalmente investita da un’onda neo-illuminista che la costringa ad avere un occhio davvero critico e, di conseguenza, a considerare il mondo scientifico come un alleato e non come un nemico.
Dov’è il partito di sinistra che parla più con Elena Cattaneo che non con la LAV o Greenpeace? Dov’è la forza progressista che si preoccupa della fame e della povertà del mondo senza sprecare tempo preoccupandosi delle malefatte della Coca Cola? Non c’è? NON C’È? Dev’essere colpa della Monsanto.
Category Politica, Scienza | Tags:
Leave a Reply