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Siamo tutti “politici”

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March 9, 2020 by Mosè Viero

Se c’è qualcosa che la crisi per il COVID19 sta mettendo plasticamente in evidenza è quanto le nostre esistenze sono reciprocamente interconnesse. Ciascuno di noi si muove in uno spazio privato e in uno spazio pubblico, ma anche senza voler scomodare il famoso e un filo iperbolico slogan femminista secondo cui il privato è politico, occorre mettere a fuoco che la seconda sfera, quella pubblica, è più estesa di quel che si potrebbe immaginare.

Facciamo un esempio di scottante attualità per cercare di spiegare in che modo questo concetto è ancora fuori dalla portata di moltissimi tra noi. Sabato sera il nostro Governo, purtroppo chiaramente inadeguato ad affrontare la contingenza nonostante i lodevoli sforzi di alcuni suoi membri, ha fatto irresponsabilmente ‘filtrare’ fuori dalle stanze dei bottoni il fatto che si stava preparando un decreto con misure draconiane atte a limitare la circolazione del virus sul territorio nazionale. Molte, anzi quasi tutte le testate giornalistiche (lodevole eccezione: il Post), hanno pubblicato la notizia immediatamente. Il risultato lo sappiamo: nelle future “zone rosse” è scoppiato il panico, le stazioni sono state prese d’assalto e questo ha con ogni probabilità aiutato il virus a diffondersi ancora di più.

Quando qualcuno ha timidamente cercato di chiedere continenza ai giornalisti, la risposta è stata una serratissima levata di scudi. Apparentemente, l’idea che va per la maggiore tra i nostri reporter è che il cronista debba dare tutte le notizie senza preoccuparsi di nient’altro.

Queste prese di posizione, in realtà, non sono una novità. Quando in passato qualcuno faceva notare a certe trasmissioni televisive in teoria anti-berlusconiane che stavano solo avvantaggiando Berlusconi, la risposta era molto simile: ehi, noi siamo giornalisti, Berlusconi dev’essere battuto dai suoi avversari politici.

Questo atteggiamento è, a voler ben guardare, la quintessenza del populismo. Cioè dell’idea secondo la quale da una parte ci sono i politici e dall’altra il resto del mondo. Magari non viene esplicitata l’idea che questi due fronti debbano essere in conflitto perenne, ma il conflitto è la logica conseguenza dell’identificazione dei due fronti. Se la politica conduce una battaglia, la “non-politica” dovrà, per forza di cose, condurne una diversa. Se non altro, per identificare sé stessa in quanto “non politica”.

È lo stesso concetto che sorregge, per esempio, il populismo giudiziario di personaggi come Piercamillo Davigo. Il problema della magistratura sono “i politici”, che cercano sempre di farla franca. En passant, pensiamo a quanto sia assurdo riunire sotto un’unica etichetta i parlamentari e i membri del Governo, che in realtà hanno ruoli e funzioni completamente differenti per non dire opposti: ma il populismo prescinde anche dalle conquiste del Settecento francese.

La situazione straordinaria in cui ci troviamo fa venire al pettine molti nodi, perché ci fa ‘toccare con mano’ quanto siano concrete le conseguenze del ragionare a compartimenti stagni tipico del populismo. La lotta necessariamente perenne tra le due fazioni nemiche, politici versus “gente”, ha l’effetto paradossale di trasformare la società civile in una entità nemica delle decisioni collettive. Mentre gli uomini delle istituzioni cercano di avere ragione di un virus letale e altamente contagioso anche attraverso decisioni drastiche, la cittadinanza se ne frega e anziché essere biasimata dal “quarto potere” riceve da esso esempio e sostegno.

Come si può pensare di uscire dall’emergenza se coloro che hanno in mano la comunicazione la usano non per cercare di aiutare, ma solo per affermare pomposamente una propria “missione”, che apparentemente prescinde da tutto, anche dalla sopravvivenza della società stessa? Tutto questo è possibile solo in forza dell’equivoco di cui sopra: l’equivoco secondo il quale la sorte della collettività è responsabilità solo e soltanto della “politica”. Invece no: la “politica” esiste solo come sistema di pensiero, ma non esistono i “politici”: esistono i nostri rappresentanti, ma loro *sono* noi. Ciascuno di noi è responsabile di fronte alla collettività, e lo è ancora di più se è in grado di influenzare il comportamento delle masse.


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