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Referendum Consultivo sulla suddivisione del Comune di Venezia: dichiarazione di voto

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November 27, 2019 by Mosè Viero

Domenica prossima, 1 dicembre 2019, la Regione Veneto ha indetto, nel territorio del Comune di Venezia, un referendum sulla separazione del Comune stesso in due diverse entità amministrative: Mestre, che includa la terraferma, e Venezia, che includa l’area lagunare. Non è la prima volta che i residenti di questo strano Comune si sentono fare questa domanda: per la precisione, si tratta del quinto referendum sulla materia, dopo i precedenti del 1979, 1989, 1994 e 2003. In passato ha sempre vinto il NO alla separazione, ma l’opinione pubblica è, negli ultimi tempi, assai volatile, e in questo caso specifico potrebbe essere influenzata anche dagli eventi traumatici che la Laguna ha subito recentissimamente.

Il nuovo referendum è stato fortemente voluto dalla Lega, che guida la Regione, per il quale ha stanziato 800 mila euro di denaro pubblico: il quesito, però, sta scardinando notevolmente i posizionamenti tradizionali. Una buona parte della sinistra, come per esempio il Gruppo 25 aprile, è schierata per la separazione, assieme agli autonomisti veneti di destra; il sindaco di centrodestra Luigi Brugnaro, d’altro canto, è unionista convinto, come anche gran parte del notariato politico progressista.

Val la pena sottolineare che il referendum è sottoposto al quorum: se non si reca alle urne almeno il 50 più 1 per cento degli aventi diritto, il risultato sarà annullato. Molti unionisti, di conseguenza, sostengono l’astensione, che pare essere il modo più semplice per evitare la separazione. Un argomento retorico che va per la maggiore nel dibattito pubblico, curiosamente anche tra gli unionisti, è che chi propaganda l’astensione sarebbe una specie di nemico della democrazia. È un argomento risibile, per non dire quasi surreale: è l’esistenza stessa del quorum a rendere del tutto normale e legittimo che l’elettore possa decidere di ‘boicottare’ la consultazione per farla fallire.

Nella fattispecie, è proprio quello che farò io: domenica non andrò a votare.

Le motivazioni sono varie, non ultima quella di evitare di prendere parte a questa farsa del referendum ripetuto ad libitum finché il popolo non dà la risposta ‘giusta’, sprecando nel frattempo carrettate di denaro pubblico. Il punto decisivo però secondo me è il seguente: Venezia non ha bisogno di diventare più speciale, semmai ha bisogno di diventare più normale. Ne parlai qui già un paio di anni fa: questa strana città può essere salvata non solo e non tanto riconoscendo la sua unicità, della quale peraltro non si discute, quanto cercando di rendere possibile, al suo interno, una vita per l’appunto normale, che possa attirare residenti di qualunque tipo, con qualunque interesse e qualunque lavoro, proprio come ogni altra città. Gli alfieri del localismo, tutti o quasi schierati per il SÌ, si dichiarano nemici acerrimi del turismo di massa: ma con il loro esasperato tradizionalismo refrattario a ogni novità sono, in fondo, i più forti alleati di chi vuole veicolare l’immagine stereotipata della città acchiappa-turisti, fatta di vogatori, soffiatori di vetro e mescitori di spritz. La separazione amministrativa tra Laguna e terraferma non può che amplificare ancora di più questo localismo reazionario, chiudendo di converso le porte a una auspicabile modernizzazione della città, che sappia far convivere il suo patrimonio culturale con la contemporaneità, dalla quale non si può fuggire se non con la morte.

Certo, non si può dire che il Comune unico stia rendendo questa battaglia facile, anzi. Ma pensare di risolvere i problemi separando le comunità è semplicistico e pericoloso, esattamente come è semplicistico e pericoloso il cosiddetto sovranismo a livello nazionale. Forse il concetto che dovremmo tutti introiettare è che ogni comunità è unica, proprio come lo è ogni individuo. Proprio perché ogni comunità è unica, pensare di separarle tutte può portare a un piano inclinato senza fine. Mestre è diversa da Venezia, certo: ma Marghera allora non è diversa da Mestre? E la Giudecca non è diversa da Venezia? E tra Murano e Burano non ci sono forse differenze enormi? Se le entità amministrative hanno un senso, questo senso è stemperare le differenze, non esasperarle. Perché viviamo in un mondo globale e interconnesso: e chi si isola, orgoglioso fosse anche a ragione della sua unicità, è destinato a soccombere.


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