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L’importanza di chiamarsi Matteo

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April 12, 2014 by Mosè Viero

L’Italia è ormai al collasso, e non c’è tempo da perdere: se aspettiamo ancora a imprimere al Paese la svolta necessaria, sarà troppo tardi. Basta immobilismi, basta giochetti di palazzo, basta tirare a campare: serve un governo che agisca, e subito.

La retorica neofuturista di queste affermazioni è di facile presa sull’italiano medio esasperato da decenni di malcostume politico. Molti sprovveduti sono abbagliati dall’apparente attivismo del governo Renzi, peraltro continuamente incensato da gran parte dei media (governativi di default). Peccato che ci si dimentichi di osservare con attenzione il merito delle azioni intraprese: come se qualunque riforma fosse meglio di nessuna riforma. Lo stratagemma dialettico è vecchio come il cucco: chi si oppone ai cambiamenti insensati viene subito apostrofato come “conservatore”, termine che corrisponde ormai al più tremendo insulto concepibile da mente umana. Se lo scempio viene progettato da un governo di presunta sinistra, poi, tenere dritta la barra della razionalità e del buon senso diventa ancora più complicato. Quando le svolte autoritarie vengono progettate dai berlusconiani, gli antiberlusconiani sono pronti a mobilitarsi; ma quando sono progettate dal PD (o, come in questo caso, dalle “larghe intese”) lo spirito costituente del popolino va repentinamente scomparendo.

Il rischio che stiamo attualmente correndo è connesso proprio a quanto affermato: se i progetti di riforma del Senato e della legge elettorale attualmente in discussione fossero stati partoriti solo dal centrodestra, potremmo star certi che la sollevazione popolare li avrebbe immediatamente stoppati. Purtroppo, a portarli avanti c’è uno che si chiama Matteo e non Silvio.

Proverò a spiegare questi progetti di riforma lentamente e con parole semplici, così capiscono anche i lettori di Repubblica. Il Senato verrebbe completamente trasformato: dei suoi 148 membri, 127 verrebbero prelevati di peso dalla rappresentanza regionale e comunale e gli altri 21 verrebbero nominati dal Presidente della Repubblica. Il Senato, in teoria, non vota più le leggi, che possono essere approvate solo dalla Camera; “in teoria” perché può proporre delle modifiche, che a quel punto la Camera deve rivotare.

È un progetto talmente bislacco che in confronto le riforme costituzionali proposte a suo tempo dalla Lega sembrano opera di Calamandrei. Anzitutto, se il Senato vuole proporre qualche modifica alle leggi -e si spera che lo faccia spesso, altrimenti non si capisce a cosa serve- si torna al rimpallo delle leggi tra le due camere, esattamente come nel sistema attuale (secondo alcuni costituzionalisti, anzi, i meccanismi sarebbero ancora più contorti). In secondo luogo, un Senato come questo richiede la costante presenza di personale che dovrebbe amministrare e curare il proprio territorio di riferimento: disegnata così, la Camera Alta diventa una specie di dopolavoro dei consiglieri regionali, già non proprio celebri per la loro efficienza e morigeratezza (qualcuno ha già calcoltato che se questa riforma fosse già in vigore, trovare un incensurato in Senato sarebbe più complicato che trovare un posto in albergo a Venezia in giugno). In terzo luogo, ed è l’aspetto più importante e più trascurato, con questo Senato si introdurrebbe la fattispecie, vieppiù inquietante, di avere una Camera che discute e modifica le leggi ma che è composta da persone che *non sono state elette per questo scopo*.

Chi tenta di far notare queste assurdità viene solitamente fermato con due argomenti retorici di facile presa:
-Il Senato costerebbe meno, perché i suoi membri non riceverebbero alcuna indennità supplementare. È vero, ma il risparmio sarebbe del tutto trascurabile. Già in altre occasioni ho avuto modo di spiegare perché secondo me il tema dei costi della politica è sciocco e meschino, quindi non mi dilungherò oltre.
-L’approvazione delle leggi sarebbe più rapida, perché il Senato sarebbe coinvolto solo in alcuni casi e non in tutti (per esempio, il Senato non voterebbe la fiducia al Governo né la cosiddetta “Legge di Bilancio”). Cazzata sesquipedale: il famigerato “Lodo Alfano” è stato scritto e approvato in venti giorni. I meccanismi della nostra Repubblica Parlamentare non sono affatto lunghi e farraginosi: se certe leggi non vedono mai la luce è perché i parlamentari non vogliono approvarle, non perché ci siano fantomatici meccanismi burocratici che le bloccano.

Visto il modo irrispettoso con cui i nostri politici trattano il nostro sistema bicamerale, i più penseranno che i padri costituenti, nel disegnarlo, abbiano cercato in tutti i modi di complicare il più possibile la vita alle generazioni future. È esattamente il contrario: i padri costituenti sapevano per esperienza diretta che in Italia le forme di governo dispotiche e autoritarie attecchiscono molto facilmente, e che un sistema bicamerale sarebbe stato, in questo senso, una migliore garanzia. Ma dato che, visti gli sviluppi, non si è trattato di una garanzia sufficiente a produrre buoni uomini politici, noi pensiamo che il problema si risolva abbattendola. Come se, per difendermi meglio dai ladri, disattivassi l’allarme e spalancassi la porta. Non fa una grinza.

Se tutto ciò vi sta inquietando almeno un po’, aspettate di sentire quale dovrebbe essere, secondo il duo Silvio&Matteo, la nuova legge elettorale, già ribattezzata dai giornalisti Italicum. Intanto, resterebbero intatte le famigerate “liste bloccate”: nessuna possibilità di scegliere il proprio candidato, quindi i profili di incostituzionalità del cosiddetto Porcellum rimarrebbero in ballo. In secondo luogo, verrebbe implementato un premio di maggioranza da dittatura sudamericana: col 37 per cento dei voti, una coalizione si becca il 55 per cento dei seggi. Altissime le soglie di sbarramento: 12 per cento per le coalizioni, 4,5 per cento per i partiti coalizzati, 8 per cento per i partiti non coalizzati. Ciliegina sulla torta: la legge si applica solo alla Camera, quindi se la riforma del Senato non passa (e c’è da sperare che non passi, come detto sopra) al Senato si voterebbe col proporzionale puro. Risultato: maggioranze diverse, larghe intese obbligatorie per i prossimi tremila anni.

Come detto sopra, se queste riforme così palesemente illogiche e autoritarie fossero state proposte dal solo centrodestra, avremmo tutti i tromboni del centrosinistra, Scalfari e il suo Alzheimer in testa, a spiegarci perché combatterle sia questione di vita o di morte. Invece le propone l’intelligente e arguto (basta guardare la sua espressione) Matteo, quindi devono essere assolutamente indispensabili. Certo, tutti sanno che in realtà queste riforme sono frutto di un accordo con l’avversario: perché l’avversario non va demonizzato, e le riforme si fanno assieme, in democrazia si fa così. Peccato che l’avversario sia un criminale condannato in via definitiva, col suo braccio destro appena braccato mentre si dava alla fuga a Beirut: in democrazia questa gente marcisce nelle patrie galere, non fa le “riforme”. Ma questo, a voler ben guardare, è un dettaglio. Il problema è che la contiguità e l’alleanza tra Renzi e Berlusconi sono così marcate che farle notare sembra pleonastico: eppure ci sono elettori del PD che sostengono che finalmente con Renzi alla guida “batteranno Berlusconi”. Vent’anni di non-opposizione hanno fatto dimenticare a tutti cos’è l’opposizione. Attenzione, sto per farvi una scottante rivelazione: in democrazia, le “riforme” non si fanno assieme all’avversario. In democrazia, uno propone una riforma e l’avversario si oppone. Senza opposizione, non c’è democrazia.

Qualche tempo fa, un gruppo di illuminati intellettuali, capitanati da Nadia Urbinati, ha promosso un appello per fermare questo scempio promosso dal governo Renzi. Il premier non ha perso l’occasione per comportarsi come una specie di Scelba dei poveri, apostrofandoli come inutili “professoroni”, ovviamente “conservatori”. Nell’aere sono risuonate le stesse parole usate anni fa contro gli intellettuali da Brunetta e da Tremonti.

A suo tempo, io stesso sono stato positivamente incuriosito dalla figura di Renzi. Fare peggio di D’Alema e Bersani, pensavo, sarà davvero difficile. Almeno Renzi svecchierà un po’ l’apparato: senza contare che prima di prendere la poltrona il nostro recitava la parte di quello contrario alle larghe intese senza se e senza ma. È comprensibile che molti in buona fede possano esserci cascati e magari siano arrivati a impegnarsi personalmente: adesso, però, è il momento di guardare in faccia la realtà. Elettori del PD: non fate come la moglie che rifiuta di ‘vedere’ che il marito la cornifica da anni. Renzi ha gettato la maschera: se lo aiutate nella sua opera di distruzione della Costituzione e del buon senso, in futuro vi toccherà sentirvi responsabili dello scempio. Tornate in voi, tornate al fianco di chi agisce per un futuro migliore. Non sarà mai troppo tardi per farlo.


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