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La democrazia è azione

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November 8, 2020 by Mosè Viero

Se è vero che l’umanità dà il peggio di sè quando è in crisi, ovvero nei periodi di recessione economica, abbiamo quasi certamente davanti un futuro difficile: per quanto presto si riesca a sconfiggere la pandemia, dobbiamo ancora cominciare a vedere i suoi veri effetti dal punto di vista del crollo della prosperità nei Paesi più colpiti. D’altro canto, ci sono stati momenti in cui un’umanità martoriata ha dato prova di incredibile forza e ragionevolezza: basti pensare al nostro secondo dopoguerra.

Ecco, quel che io spero è che la difficile vittoria di Joe Biden negli Stati Uniti possa essere vista, negli anni che verranno, come l’inizio della riscossa per un’ecumene già spinta verso la reazione nazionalistica dalla crisi economica pregressa e poi ulteriormente debilitata dalla pandemia (i cui sviluppi peraltro possono essere tranquillamente collegati anche ai nazionalismi e ai sovranismi). È senz’altro presto per dirlo, ma in questo 2020 c’era davvero bisogno di una iniezione di speranza.

Speranza che deriva forse, più che da Biden stesso, persona di una competenza e di una continenza fuori dal comune, dal suo vice, la senatrice Kamala Harris: la prima donna a ricoprire la seconda carica dello Stato più potente del pianeta. E non solo: la prima donna di colore e di origine (in parte) indigena. Tre rivoluzioni in un colpo solo. Ci sono occasioni, nella Storia, in cui è sufficiente essere ciò che si è e occupare una determinata posizione per dare una svolta alla Storia stessa: è ciò che sta avvenendo proprio adesso sotto i nostri occhi, come fu ciò che avvenne in occasione della prima elezione di Barack Obama.

Kamala, peraltro, si sta dimostrando decisamente all’altezza del suo difficile ruolo: il suo discorso da vicepresidente eletta è al tempo stesso ragionevole e commovente, e merita di essere ascoltato nella sua interezza.

C’è in particolare un passaggio che mi sembra degno di essere sottolineato. A un certo punto Kamala cita John Lewis, membro della Camera recentemente scomparso a cui viene attribuita la seguente affermazione: Democracy is not a state, it’s an act. È questa, mi sembra, la chiave per comprendere cosa voglia dire essere progressisti nel mondo d’oggi: l’azione. Per troppi che si definiscono “di sinistra” essere tali significa anzitutto dirlo: magari in maniera forbita e impeccabile, organizzando incontri e convegni, interrogandosi sulle diverse sfumature della “sinistrosità”, su chi è più o meno di sinistra. Tanti di questi progressisti sono terrorizzati di fronte alla necessità di agire, di prendere una vera decisione: perché l’overthinking uccide la responsabilità, e il timore di fare una scelta non abbastanza ponderata ci rende, alla fine, schiavi della pavidità.

Lo si vede anche in queste ore, nelle quali tanti che pensano di essere molto di sinistra trovano il tempo e le energie per lamentarsi del fatto che ci sono Biden e Harris anziché Sanders e Ocasio-Cortez. Probabilmente molti tra loro avrebbero fatto a meno di votare, per paura di macchiarsi di eccessivo collaborazionismo con i “moderati”. È quello che successe quattro anni fa quando la povera Hillary Clinton venne silurata a favore di Donald Trump: non tanto e non solo perché quest’ultimo era riuscito a mobilitare il suo elettorato bianco, ricco e razzista, quanto perché la prima non era riuscita a convincere l’America liberal. Si pensi a cosa può portare la rinuncia all’azione in nome degli ideali. Ci scandalizziamo per il terrorista che si fa saltare in aria per un’idea, ma mutatis mutandis noi ci comportiamo allo stesso modo.

A rendere davvero poco digeribili le derive reazionarie che si verificano in tanti Paesi occidentali è proprio questo: il loro essere frutto più dell’indifferenza che non dell’iniziativa consapevole degli schieramenti nazionalisti. Siamo vittime anzitutto della nostra pavidità. Se vogliamo continuare a vivere in un ambiente democratico, dobbiamo smetterla di ringraziare i nostri avi e cominciare a metterci in gioco, qui e ora. Per esempio piantandola di frignare come bambini viziati perché i candidati progressisti non sono esattamente come noi e dando loro il nostro sostegno. Non è mai stato così semplice lottare per la tenuta del sistema democratico: non serve nemmeno immolarsi o andare al fronte, basta infilare una scheda in un’urna. Se anche questo è troppo per noi, forse la democrazia non ci interessa affatto.


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