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Indipendenti dal buon senso

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March 23, 2014 by Mosè Viero

Secondo quei fenomeni da baraccone che hanno organizzato l’evento noto come “Referendum per l’indipendenza del Veneto”, ben due milioni di cittadini avrebbero diretto il loro inconsapevole mouse verso il prestigioso sito che proponeva, tronfio di retorica campanilistica, la separazione della regione dall’Italia infame. Secondo me si sono trattenuti: dato che si tratta di dati completamente inventati, perché non esagerare ancora di più? Facciamo conto tondo: cinque milioni. Anzi: dieci milioni. Anzi: un miliardo. Perché ci saranno senz’altro tantissime persone in giro per il mondo pronte ad affiancarci in questa battaglia, no? Nell’Ottocento arrivarono torme di volontari da tutta Europa per aiutare l’indipendenza della Grecia: perché per il Veneto non dovrebbe succedere lo stesso? Lord Byron, dove sei?

Federalismo, secessione, indipendenza: sono temi che tornano periodicamente al centro del dibattito politico da vent’anni, e da vent’anni la mia voglia di controbattere seriamente è pari alla voglia che ho di passare il sabato sera in discoteca. Questa volta però la comicità involontaria dei secessionisti ha raggiunto un tale apice da risultare seriamente preoccupante per chiunque abbia a cuore la sanità mentale della società che lo circonda. I buontemponi si sono riuniti ieri sera in piazza a Treviso e hanno proclamato, rigorosamente in dialetto, l’indipendenza formale e sostanziale da Roma. L’organizzatore ha anche affermato, di passaggio, che tra qualche tempo gli imprenditori veneti potranno smettere di pagare le tasse allo Stato (come se finora le avessero pagate, ndr). Prima osservazione: non ci si lamenti poi se il nostro dialetto, che ahimè condiziona pesantemente anche la dizione del sottoscritto, viene visto urbi et orbi come attributo tipico dell’idiota e/o del contadinazzo ignorante. Seconda osservazione: come mai le forze dell’ordine non intervengono contro siffatte adunate palesemente illegali, eversive e anticostituzionali, mentre sono così solerti a intervenire contro chi ruba una mela al supermercato? Se ci sono leggi derogabili, fateci una lista: così ci regoliamo.

Volendo andare un po’ più in profondità, credo che sul tema della gestione delle identità locali ci sia, sullo sfondo, un colossale equivoco. La nostra identità in quanto appartenenti a un territorio si concretizza nella secolare stratificazione storica che ha dato vita a determinate lingue, costumi, abitudini: stratificazione che racchiude al suo interno, peraltro, infinite tangenze e mescolanze con identità prossime o, nel caso del Veneto mercantile dei secoli scorsi, anche remote. L’identità di un territorio, dunque, è il risultato della sua storia passata. Noi che viviamo nel Veneto *adesso* non abbiamo alcun merito connesso alle glorie passate di questa regione: a meno che non si consideri un merito l’evento, assolutamente casuale, che ci ha visto nascere qui anziché in Romagna o in Lazio o in Sicilia o in Kenia. Chi dunque avanza pretese sulla base del prestigio, peraltro tutto da dimostrare, della storia passata della sua regione, sta compiendo un’operazione del tutto illogica e soprattutto profondamente amorale, di carattere squallidamente nepotista. Qual è la differenza tra l’occupare una cattedra universitaria perché “figlio di” e il pretendere un trattamento di favore perché “veneto”? Il campanilismo è l’argomento di chi non ha argomenti: di chi non potendo dimostrare il proprio valore qui e ora, tira in ballo una identità frutto di secoli di storia. Chi è dotato di merito e capacità le fa emergere in qualunque contesto, e troverebbe terribilmente riduttivo legare la propria identità di individuo, unica e irripetibile, a quella di un territorio popolato da milioni di persone.

Sentirsi parte di una comunità è umano e sommamente sano, dato che siamo animali sociali. Solo che da che mondo è mondo, le elite di potere più reazionarie sfruttano il sentimento di comunità per erigere muri, sovvertendo la sua natura inclusiva e trasformandola in natura esclusiva. Fedeli al motto divide et impera, gli esecutivi di ogni epoca e luogo spingono i cittadini a guardarsi in cagnesco l’un l’altro anziché a concentrare la loro attenzione sulle malefatte dei potenti. Sarebbe ora che i movimenti progressisti si impegnassero per diradare l’equivoco: onorare la comunità a cui si appartiene non ha nulla a che fare con i confini, le dogane, le tasse, i biglietti dell’autobus, le migrazioni di popoli. Onorare la comunità a cui si appartiene significa invece, per esempio, difendere le eredità che la storia comune ci ha lasciato. Non è sommamente ironico il fatto che quelli che si riempiono la bocca con l’identità veneta siano quasi sempre gli stessi che devastano il più importante ‘documento’ che costruisce quell’identità, ossia la città di Venezia? Se andiamo avanti così, i veneti di adesso saranno ricordati come coloro che hanno devastato questa regione: non manca molto prima che “veneto” diventi un insulto. I festeggianti di ieri sera farebbero bene a occuparsi di questo, tra un referendum e l’altro.

Quando sarò re del mondo, non esisterà alcun confine ed alcuno stato. Come disse un signore con la barba, l’esistenza degli stati serve solo per giustificare le guerre e per gestire lo sviluppo ineguale del capitalismo. Non dovremmo mai confondere la comunità e il territorio di cui siamo parte con una regione o con uno stato dotati di confini, guardie ed eserciti. Se lo facciamo, siamo già vittime del divide et impera: in altri termini, siamo già sudditi.


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