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Il vizio della memoria (ottusa)

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February 27, 2018 by Mosè Viero

In questi ultimi giorni di campagna elettorale va per la maggiore, sui social network, spalare fango su Emma Bonino e sulla sua lista +Europa. Lo spalatore, in genere di sinistra, è l’ennesima incarnazione di quel riflesso pavloviano che la sinistra ha da sempre: vuole convincerci che l’obiettivo dei suoi strali non è abbastanza di sinistra, anzi che non è di sinistra per niente. Perché per certi elettori di sinistra il candidato di sinistra non è quasi mai di sinistra per davvero: è sempre spostato un po’ troppo a destra. Per certi elettori di sinistra, l’analisi politica si riduce a una specie di caccia all’errore o al peccato imperdonabile: e quando il loro rappresentante fa qualcosa non-abbastanza-di-sinistra, questi elettori vanno in brodo di giuggiole. Perché possono convincere se stessi di essere sempre un pelo più puri degli altri.

Nel caso della Bonino, le tecniche usate dallo spalatore di fango sono le più varie: una è sottolineare gli endorsement alla Bonino più nefasti, come quelli di Mario Monti ed Elsa Fornero (che peraltro se visti da una certa prospettiva sono un punto a favore), oppure insistere ossessivamente su certi punti del suo programma, come il blocco della spesa pubblica (cosa avrebbe di non-sinistra questo proposito sacrosanto non è chiaro, a meno che non si ragioni secondo il sistema binario), o ancora, e soprattutto, ricordare il passato non proprio coerente della Emmona. A questo punto scatta la lista di tutte le sue malefatte del passato: era candidata con la Lega, poi con Berlusconi, ha votato a favore della guerra in Kosovo, ha votato per alzare l’età pensionabile delle donne (volesse iddio, ndr), ha votato a favore delle privatizzazioni eccetera eccetera.

Ora: lasciamo perdere il merito di queste critiche. E lasciamo anche perdere, in questa sede, il giudizio sul personaggio, che in effetti ha avuto un percorso politico un po’ ondivago, anche se va detto che questa è una critica che lascia il tempo che trova per un partito che ha sempre puntato al voto di opinione più che a quello di rappresentanza. Concentriamoci invece sul metodo, dato che periodicamente questo modo distorto di leggere il passato torna prepotentemente in auge. Se sottoposto al trattamento che si concretizza in quella che potremmo chiamare la “lista degli errori”, nessun politico uscirebbe illeso. Anzi: nessuna persona uscirebbe illesa. Perché tutti, indistintamente, commettiamo errori. Naturalmente ci sono errori gravi ed errori meno gravi, ma immaginare che qualcuno possa compiere, nel corso della sua vita o della sua carriera, un percorso completamente privo di macchie è totalmente assurdo, perché è solo attraverso la scelta sbagliata che si arriva poi a compiere quella giusta.

L’oblio di queste banalissime nozioni è un sottoprodotto di un certo tipo di giornalismo ‘semplificatore’, secondo cui mettere alla berlina il potente di turno significa ricordare continuamente i suoi errori del passato. Ne è maestro, per esempio, il buon Marco Travaglio, che ha messo insieme gran parte dei suoi libri proprio usando questo metodo. Il problema è, appunto, la semplificazione. Cioè: se metto tutti gli errori possibili che l’uomo politico può compiere in un unico calderone, alla fine non riesco più a distinguere chi ha fatto errori davvero imperdonabili da chi ha fatto scelte magari sbagliate ma comprensibilissime in un determinato contesto. Esempio terra terra: un conto è avere come ‘macchia’ una condanna per frode fiscale, un conto è avere come ‘macchia’ quella di aver collezionato tante ‘poltrone’ in schieramenti diversi. La frode fiscale è un reato grave, avere cambiato tante volte schieramento non è un reato e anzi può essere semplicemente una strategia politica volta a portare a casa determinati risultati in determinate circostanze.

Ma soprattutto: quel che un politico ha fatto in passato è senza dubbio importante, ma non sarà mai importante tanto quanto quello che quel politico sta facendo ora o che si impegna a fare in futuro. Nel corso del tempo si cambia. Io sono completamente diverso dal me stesso di venti anni fa, e ho cambiato opinione su tantissime cose. Questo non vuol dire necessariamente essere incoerenti: può voler dire, al contrario, aver fatto tesoro dell’esperienza. Una delle doti maggiori che ha l’essere umano è proprio saper imparare dall’esperienza: faccio una scelta, mi accorgo che è sbagliata, la prossima volta ne farò una migliore e quindi diversa. Se giudico gli altri usando come unica bussola la coerenza, finirò col premiare chi è totalmente incapace di imparare dall’esperienza.

Alla fine, anche questo ragionamento può essere ricondotto a quanto dicevamo nella nostra dichiarazione di voto citando Francesco Cundari: a contare, quando si vota, è solo la conseguenza concreta del nostro gesto. La Bonino negli anni Novanta ha fatto un sacco di nefandezze e si è alleata coi peggiori? Sticazzi: se votare Bonino adesso può avere conseguenze positive, la si vota senza tanti patemi d’animo.

Nel 1997 l’ex magistrato Gherardo Colombo scrisse un libro spesso citato, secondo me a sproposito, da chi scava nel passato per lanciare fango nel presente: si intitola Il vizio della memoria. La tesi di fondo è la seguente: la comunità che dimentica velocemente, come ahinoi spesso fanno gli italiani, è condannata a ripetere continuamente gli stessi errori. È una tesi sacrosanta: il fatto che Berlusconi sia di nuovo in pista è prova plastica della memoria corta dei nostri concittadini. Ma avere una buona memoria storica non significa inchiodare le persone ai propri errori del passato: Colombo ne è talmente convinto che è tra i pochi magistrati ad aver financo proposto l’abolizione del carcere o comunque il superamento dell’istituzione carceraria. Perché nessuno deve avere la sua vita segnata solo ed esclusivamente dai suoi errori. Vale per il cittadino comune, vale a maggior ragione per la politica. Chi giudica un politico in corsa alle elezioni del 2018 basandosi sui suoi errori fatti negli anni Novanta non sta coltivando il “vizio della memoria”: sta, al contrario, ragionando secondo criteri riduttivi e reazionari, che finiranno per premiare chi utilizza strumentalmente il concetto di “coerenza” per nascondere la sua pavidità e il suo immobilismo.


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