Gli Adinolfi del Tempo
1September 15, 2018 by Mosè Viero
Con l’obiettivo niente affatto dissimulato di riportarci indietro ai bei tempi andati, quando alla domenica la donna impastava le tagliatelle per i parenti e l’uomo ruttava in canottiera davanti a Novantesimo minuto, il Governo fasciopentaleghista si appresta a imporre la chiusura domenicale ai negozi, nella piccola come nella grande distribuzione. Che un Governo reazionario il cui progetto ultimativo è l’uscita dell’Italia dalla moneta unica europea progetti cose del genere è logico e coerente: l’economia nazionale va ridotta a brandelli se si vuole che i biechi burocrati di Bruxelles ci diano finalmente il benservito. Quel che non è per nulla logico e coerente è che questa battaglia mandi in sollucchero anche esponenti dell’ala progressista.
Guardate che post condivide, in entrambi i sensi, la solitamente lucida deputata del PD Giuditta Pini.
Il delirio della cigiellina non avrebbe in realtà bisogno di nessun commento se non di una pernacchia, ma scendiamo dal piedistallo di chi è consapevole di vivere nel 2018 e di chi è fiero di sostenere sempre e comunque la libertà e proviamo a spiegare cosa c’è che non va nelle argomentazioni qui sopra esposte. Tralasceremo l’obiezione più ovvia, ossia che il mondo cambia, peraltro in questo caso in meglio, e che nessuno è disposto a rinunciare alla comodità di avere i negozi aperti tutti i giorni, e che quindi le chiusure non faranno che avvantaggiare ulteriormente il commercio online.
Concentriamoci piuttosto sull’affermazione seguente: “Insomma qui si tratta di un approccio culturale: come vogliamo spendere il nostro tempo e i nostri soldi? Vogliamo dare a dei lavoratori la possibilità di lavorare meglio e di conseguenza provare ad essere consumatori migliori?”
Ecco: come vogliamo spendere il nostro tempo e i nostri soldi? Risposta ovvia e naturale: che ciascuno li spenda un po’ come gli pare. C’è chi passa il tempo lavorando a più non posso e altri che pur di non lavorare sono disposti a tutto. C’è chi cerca di risparmiare per fare spese pazze, c’è chi dilapida il denaro in divertimenti estemporanei, c’è chi come il sottoscritto rischia di indebitarsi per comprare stupidissimi mattoncini di plastica. Tutto bene, giusto? No. La cigiellina è impegnata in una battaglia epica: farci “lavorare meglio” e addirittura essere “consumatori migliori”. E chi decide come ci si può migliorare lavorando e consumando? Lei, ovviamente. O per meglio dire il suo sindacato, al cui confronto forse perfino il Governo in carica è proiettato verso il futuro.
Voglio io forse lavorare proprio quando mi pagano di più, e quindi per esempio di sera o nei festivi, così da poter accumulare ancora più stupidissimi mattoncini di plastica? Orrore! Alla sera e nei festivi bisogna riscoprire la bellezza di una “grigliata con gli amici” (piuttosto mi sparo, nda) oppure bisogna restare “in famiglia” (forse allora la grigliata con gli amici non era un’ipotesi da scartare, nda).
Volendo andare più in profondità, le idee veicolate dall’intervento citato sopra sono profondamente reazionarie non solo perché pretendono di limitare la mia libertà di decidere come spendere il mio tempo, ma anche per altri due motivi, meno evidenti e quindi forse ancora più insidiosi.
Il primo è che mirano alla costruzione di una società di omologhi, e ogni società forzosamente omologa è anche profondamente infelice. Quand’ero bambino restare in coda ad agosto per andare al mare era letteralmente una tortura, per me e per i miei genitori: ma eravamo costretti ad andare in vacanza ad agosto o a fare i nostri giretti alla domenica. Come erano costretti anche tutti gli altri che erano in coda con noi. Per me lavorare alla domenica e ad agosto ed essere a riposo in altri momenti è stata una liberazione. È lavorare alla domenica che mi ha affrancato dagli ingorghi e dal traffico, con buona pace dell’immancabile ecologismo d’accatto che la cigiellina tenta di infilare nella sua concione.
Il secondo motivo che dovrebbe rendere inaccettabili per chiunque abbia un minimo di senno le idee sopra citate è che dividono implicitamente i lavori in lavori di serie A e lavori di serie B. Se sei una commessa che riempie gli scaffali, hai bisogno di santificare le feste; se lavori in un museo invece no, dato che la cigiellina ci invita esplicitamente a spendere la domenica nei musei. Come mai? Semplice: se riempi gli scaffali sei una povera sfigata, se lavori in un museo lo sei un po’ di meno e quindi non devi rompere le balle più di tanto. Ma i sindacalisti non dovrebbero essere coloro che difendono la dignità del lavoro, qualunque esso sia? Dovrebbero, appunto.
Non c’è niente da fare: la sinistra, apparentemente, non riesce mai a staccarsi del tutto da queste tendenze sottilmente illiberali, da Stato etico. O meglio: ci riesce abbastanza quando si parla di diritti civili. Se però si parla di libertà economiche, casca l’asino. Se Adinolfi ti spiega cosa fare del tuo utero viene giustamente etichettato come un mezzo fascista; se però la CGIL ti spiega quando dev’essere il tuo tempo libero e anche cosa devi farci allora va tutto bene. E invece no: dobbiamo imparare a rivendicare la nostra libertà sia a letto sia fuori dal letto. L’utero è mio e me lo gestisco io, come anche il Tempo.
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Non fa una piega il bel ragionamento, eccetto su un punto: nessun lavoratore dei centri commerciali vuole lavorare alla domenica e per i negozietti a conduzione quasi familiare gestire i turni festivi diventa un inferno. Al tempo stesso la nuova legge è reazionaria e porta indietro nel tempo nel nostro sistema globale.