RSS Feed

Evviva Draghi!

0

February 13, 2021 by Mosè Viero

Il nuovo Governo della Repubblica ha due caratteristiche eminenti che ce lo fanno piacere: la prima è che è guidato da Mario Draghi, l’italiano più famoso al mondo, persona che è sinonimo di competenza, serietà e affidabilità; la seconda è che viene dopo i due Governi guidati da Giuseppe Conte, probabilmente i peggiori della storia del nostro scalcagnato Paese.

Certo, la composizione della compagine governativa può deludere chi si aspettava una virata netta rispetto alle esperienze precedenti: ma non dobbiamo dimenticarci che il Parlamento sempre quello è. La speranza è che Draghi sovrintenda a tutte le decisioni più importanti e che abbia distribuito le presenze politiche seguendo pedissequamente il manuale Cencelli al principale scopo di garantirsi un appoggio liscio e sicuro nelle due Camere.

Vediamo la nuova lista dei ministri, seguendo l’ordine che lo stesso Draghi ha seguito nell’annunciarli al pubblico dopo l’incontro di ieri col Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Al Ministero per i Rapporti col Parlamento va Federico d’Incà. Grillino della prima ora, aveva lo stesso ruolo anche nel Governo precedente: è pentastellato di basso profilo, dal curriculum non proprio inconsistente (laureato in Economia e Commercio, analista di sistemi informatici, consigliere della Fondazione Italia-USA). L’approccio giusto dovrebbe essere questo: scegliere i grillini meno peggiori e piazzarli nei posti più inoffensivi.

Al Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale va Vittorio Colao. Bocconiano, manager apprezzato a livello internazionale (Vodafone, RCS, Unilever), Colao è personaggio di altissimo profilo, già coinvolto in passato in progetti, purtroppo sostanzialmente ignorati, di razionalizzazione della spesa pubblica. Vederlo in un ministero senza portafoglio è un po’ triste: d’altro canto, il settore digitale vede l’Italia in condizioni paurosamente arretrate, e la presenza di Colao in questo ruolo può dare il giusto calcio d’inizio nella direzione giusta.

Al Ministero per la Pubblica Amministrazione va Renato Brunetta. Non esattamente simpatico e accomodante, Brunetta fu dal sottoscritto ferocemente combattuto al tempo dei Governi Berlusconi per la sua lotta senza quartiere all’inefficienza del settore pubblico, che mi sembrava esagerata e strumentale. L’esperienza mi ha insegnato che in realtà Brunetta all’epoca fu financo troppo buono: il settore pubblico italiano si merita di essere bombardato col napalm. Speriamo che il suo ritorno serva a qualcosa, perché se a suo tempo ha davvero reso il sistema più efficiente non oso immaginare come fosse prima.

Al Ministero per gli Affari Regionali e le Autonomie va Maria Stella Gelmini. Forzitaliota, già Ministro della Pubblica Istruzione con risultati non esaltanti, ha tenuto negli ultimi anni, nel suo partito, posizioni di basso profilo, equidistanti tra il filosalvinismo di Gasparri e l’europeismo liberale di Carfagna. In questo defilato ministero non potrà fare troppi danni.

Al Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale va Mara Carfagna. Esponente europeista e atlantista di Forza Italia, sempre misurata nell’approccio e nei toni, Carfagna mi ha piacevolmente stupito negli ultimi tempi. Da me tanto criticata negli anni del berlusconismo rampante, ha dimostrato una sensibilità politica capace di andare oltre quel momento triste e riduttivo. Pare che abbia scoperto di essere ministro guardando la televisione: ottimo esempio di cosa possiamo aspettarci dal “metodo Draghi”.

Al Ministero per le Politiche Giovanili va Fabiana Dadone. Grillina, già Ministro della Pubblica Amministrazione nel Governo Conte II, è personaggio di seconda fila, attivo più in ufficio che in televisione. Finora il suo passaggio non ha lasciato chissà che tracce, ma se non altro non ha fatto troppi danni.

Al Ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia è riconfermata Elena Bonetti. Unico esponente renziano nel nuovo Governo, la Bonetti è una adorabile docente universitaria: pacata, razionale, concreta, ha dato vita a uno dei provvedimenti più significativi del Governo precedente, il Family Act. La sua riconferma è per quanto ci riguarda una buona notizia.

Al nuovo Ministero per le Disabilità va Erika Stefani. L’istituzione di questo ministero è stato richiesto pubblicamente da Salvini durante le consultazioni, a mo’ di bandierina leghista da piantare sulla compagine governativa: era dunque prevedibile che Draghi ne assegnasse la dirigenza a un esponente del Carroccio, nella fattispecie l’avvocatessa vicentina Stefani, già Ministro per gli Affari Regionali nel Conte I. Sarebbe bello se le associazioni dei disabili si dissociassero pubblicamente da questo vergognoso utilizzo strumentale delle loro istanze da parte del più bieco populismo: per ora, purtroppo, non vediamo segni all’orizzonte.

Nuovo Ministro per il Turismo è Massimo Garavaglia. Leghista, già viceministro nel Conte I, è ancora legato alla visione nordista della Lega prima maniera: una posizione come quella in capo al turismo, settore letteralmente fatto a pezzi dalla pandemia, avrebbe meritato un personaggio più titolato e più ecumenico. Almeno c’è un ministero, e anche con portafoglio: questo ambito, così importante in un Paese come l’Italia, ha senza dubbio bisogno di più interesse e di maggior centralità nel dibattito pubblico.

Al Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale viene riconfermato Luigi Di Maio. Questa è stata una delle soprese peggiori nei momenti della lettura della lista dei ministri. Se mai ce ne fosse stato bisogno, tutto ha dimostrato, in questi ultimi anni, l’assoluta inadeguatezza di questo personaggio, summa di tutti gli aspetti peggiori del grillismo: incompetenza, populismo, inaffidabilità, conservatorismo reazionario. La mancata discontinuità in un ministero così importante come quello degli Esteri è sicuramente un brutto segnale, anche se c’è chi non manca di affermare che con l’evoluzione delle politiche europee la Farnesina sta diventando progressivamente meno centrale. Speriamo bene. In ogni caso, è certo che nel prossimo Parlamento i grillini perderanno l’attuale centralità.

Al Ministero dell’Interno è confermata Luciana Lamorgese. Prefetto di lunga esperienza, servitore dello Stato sobrio e onesto, Lamorgese ha impresso al suo ministero, rispetto alla precedente gestione salviniana, una svolta più di forma che di sostanza. Non che la forma non sia importante, ma ci aspettavamo forse qualcosa di più. La riconferma segna il mantenimento di questa linea in tono minore, senza infamia e senza lode.

Al Ministero della Giustizia approda Marta Cartabia. Insigne giurista, primo presidente donna della Corte Costituzionale, ultimamente considerata anche come papabile prossimo Presidente della Repubblica, la Cartabia ha una personalità sfaccettata: reazionaria sul piano dei diritti (ciellina, contraria all’aborto) è però anche molto sensibile a temi quali il trattamento dei detenuti e il garantismo nei processi. La sua nomina non ci farebbe stappare lo spumante, se solo non venisse dopo quell’incompetente forcaiolo di Alfonso Bonafede. In alto i calici!

Al Ministero della Difesa è confermato Lorenzo Guerini. Piddino di estrazione democristiana, ha tenuto, durante il Governo Conte II, un atteggiamento defilato: tutto fa pensare che continuerà a tenerlo, facendo valere più che il carisma o il presenzialismo la sua lunga esperienza di amministratore, essendo stato in passato sindaco, presidente di Provincia e presidente del Copasir.

Il nuovo Ministro dell’Economia e delle Finanze è Daniele Franco. Stimato economista, direttore in carica della Banca d’Italia e vecchio amico e collega di Draghi, Franco prende il posto del deludente Roberto Gualtieri, che ha avuto l’irreparabile torto di lasciar gestire direttamente a Conte & Casalino il progetto di investimento del Recovery, con le nefaste conseguenze che avremmo visto se Renzi non avesse rovesciato il tavolo. Assieme a un presidente del Consiglio come Draghi, un tecnico autorevole in questo ministero è tutto quello di cui avevamo bisogno: possiamo dormire tra due guanciali.

Nuovo Ministro dello Sviluppo Economico è Giancarlo Giorgetti. Vicesegretario della Lega, presente nel Carroccio fin dai tempi di Bossi, Maroni e Calderoli, Giorgetti è riuscito a far passare di sé un’immagine di ‘moderato’, pur essendo stato sempre in prima linea in tutti i momenti in cui il suo partito ha dato forma agli istinti più barbari dell’elettorato. Forse il motivo è la sua preparazione in campo economico: bocconiano, è sempre stato visto come lontano dal poveraccismo salviniano, pur non avendo mai osato mettere i bastoni tra le ruote al Capitone. Oggi viene dato come il principale responsabile della svolta europeista della Lega: vedremo presto se si tratta di un cambiamento solo di facciata.

Al Ministero delle Politiche Agricole, Ambientali e Forestali approda Stefano Patuanelli. Ingegnere, grillino della primissima ora, nel Conte II era al MiSE: sacrificato per far posto a Giorgetti, viene tenuto al Governo dandogli il ruolo che fu della bravissima Teresa Bellanova. Questo è molto spiacevole, ma d’altro canto darà più tempo all’ex sindacalista per lavorare per il partito renziano, la qual cosa potrebbe non essere un male.

Al nuovo Ministero per la Transizione Ecologica arriva Roberto Cingolani. Fisico, con esperienza nella ricerca scientifica internazionale, Cingolani siede al ministero adoperato da Grillo come pretesto per giustificare l’ennesima giravolta del suo partito (e utilizzato come clava dialettica anche nel demenziale quesito posto ai cercopitechi iscritti alla piattaforma Rousseau). Oggi i grillini, col loro solito sprezzo del ridicolo, arruolano d’ufficio Cingolani tra i loro adepti: il neoministro è, in realtà, assai vicino al mondo progressista liberale, tanto da aver partecipato a molte iniziative renziane. Sicuramente farà molto bene: se ‘interpretato’ nel modo giusto, questo ministero potrà contribuire significativamente alla rinascita economica del Paese.

Nuovo Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti è Enrico Giovannini. Tecnico economista, ex presidente dell’ISTAT, ha già ricoperto la carica di Ministro del Lavoro nel Governo Letta. Negli ultimi anni ha mostrato una certa sensibilità nei temi dell’ambiente, facendosi portavoce dell’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile, nome assai simile a quello indicato da Conte nel suo recente “discorso del predellino” in riferimento alla compagine ex governativa: questo l’ha reso particolarmente apprezzato nell’orbita grillina. Viene dopo l’impresentabile Toninelli e la deludente De Micheli: difficilmente riuscirà a fare peggio.

Nuovo Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali è Andrea Orlando. Piddino di estrazione socialdemocratica, Orlando si è mostrato, negli ultimi anni, come una personalità un po’ ottusa e decisamente opportunista: ministro nel Governo di Renzi, è diventato acerrimo antirenziano il giorno della sconfitta del referendum costituzionale del 2016. La sua specialità sembra essere quella di parlare a vuoto: è un vero peccato, perché il suo ministero sarà decisivo nel tentativo di superare la crisi economica scatenata dall’epidemia.

Nuovo Ministro dell’Istruzione è Patrizio Bianchi. Economista, professore universitario, già rettore dell’Università di Ferrara, Bianchi dovrà gestire la difficile situazione in cui versa la scuola italiana, la più maltrattata d’Europa durante la pandemia. Prendersela col suo predecessore Lucia Azzolina è come sparare sulla croce rossa: tutto sommato a me è sembrata tra i ministri meno tremendi del Conte II, dimostrandosi se non altro consapevole del ruolo centrale della scuola e combattiva al punto giusto nel cercare di tenerla aperta quando tutti volevano chiuderla. Non è bastato: speriamo che Bianchi sia ancora più cazzuto. Il modo in cui abbiamo trattato i ragazzi di questo Paese nell’ultimo anno è ingiustificabile da qualunque parte lo si guardi, e saremo chiamati a risponderne di fronte alla Storia.

Nuovo Ministro dell’Università e della Ricerca è Cristina Messa. Medico chirurgo, docente alla Bicocca di Milano, già vicepresidente del CNR, è tra gli studiosi di medicina italiani più conosciuti e citati al mondo. Il mondo dell’università aveva decisamente bisogno di un suo ministero dedicato, e la scelta di Draghi è semplicemente perfetta. Chapeau.

Al Ministero della Cultura è confermato Dario Franceschini. Piddino di area socialdemocratica, politico di lunghissimo corso, abilissimo e spregiudicato nel posizionarsi e nel tessere alleanze, Franceschini è un uomo per tutte le stagioni: renziano al tempo della leadership di Renzi, oggi è il più verace sostenitore dell’alleanza tra PD e 5Stelle. Forse il suo limite maggiore è proprio il suo essere anzitutto un politico, che dà l’impressione di lavorare più per la strategia e le alleanze che non per i Beni Culturali: in larghissima maggioranza, gli operatori del settore lo odiano non solo per certe sue scelte ma soprattutto perché lo sentono lontano e indifferente. Se non altro gli è stata tolta la delega al turismo, che ora ha un suo apposito ministero.

Al Ministero della Salute è confermato Roberto Speranza. Direi che questo nome è, con Di Maio e Orlando, l’altra grande delusione di questo nuovo Governo: la gestione della pandemia da parte della compagine precedente è stata disastrosa e non si capisce per quale motivo il responsabile debba essere stato confermato. Probabilmente tutto risponde a logiche di spartizione e di equilibrio: sarà tra l’altro divertente vedere cosa succederà al partito del ministro, Liberi e Uguali, che si è dimostrato finora assai parco di entusiasmo per il Governo del banchiere cattivo Draghi. Probabilmente assisteremo a una nuova scissione, specialità della sinistra, soprattutto se ‘radicale’.

Poteva andare meglio? Certo. Ma io credo che in un momento come questo si debba seguire l’ottimismo della ragione. Concentriamoci su questi quattro punti:
1. i 5Stelle hanno fatto l’ennesima figuraccia, passando in pochi anni da “mai con Salvini” al governo con Salvini, da “mai col partito di Bibbiano” al governo col PD e adesso da “mai con Berlusconi” al governo con Berlusconi;
2. alcuni posti chiave (economia, transizione ecologica, transizione digitale, giustizia, presidenza del Consiglio) sono in mano a esperti di provata competenza;
3. la Lega è stata costretta, per essere parte del gioco, a rimangiarsi almeno temporaneamente tutta la sua propaganda anti-europea;
4. Forza Italia sembra ora tutta schierata con Draghi mentre fino a ieri una sua parte consistente sembrava ormai irrimediabilmente nell’orbita del sovranismo salviniano.

Bisogna saper guardare al futuro, oltre che al presente. Il nuovo Governo è infinitamente migliore del precedente, da tutti i punti di vista. Se non lo riconoscete, siete disonesti intellettualmente. Oppure siete grillini. Vade retro!


0 comments »

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *