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Che problema abbiamo con i ‘ricchi’?

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March 23, 2019 by Mosè Viero

Le elezioni primarie per il nuovo Segretario del Partito Democratico sono state vinte, con ampio margine, dal candidato cosiddetto della ‘discontinuità’, Nicola Zingaretti. A felicitarsi con il nuovo Segretario e con il nuovo imminente corso del Partito, che prevedibilmente tornerà sui binari della socialdemocrazia ‘classica’ così come intesa dai vecchi dirigenti, è stato anche un nome illustre del progressismo italiano, Romano Prodi.

Il due volte ex Presidente del Consiglio ha salutato la nuova onda affermando che finalmente il PD non sarà più il “partito dei ricchi”. In effetti non si può negare che il partito che dovrebbe rappresentare la parte più sfortunata della società abbia trovato il suo appoggio, nelle ultime occasioni elettorali, soprattutto tra le classi sociali più agiate. In altre occasioni abbiamo riflettuto sul fatto che questa particolare distribuzione del consenso è spesso frutto dell’equivoco secondo cui la vicinanza con determinate istanze si debba per forza tradurre in vicinanza ‘fisica’ o lessicale; e d’altro canto i ‘renziani’ più sfegatati hanno subito rimandato al mittente l’accusa di Prodi, spiegando tutte le iniziative a favore dei meno fortunati messe in campo dagli ultimi Governi guidati dal PD. Il più solerte è stato il bravo deputato Luigi Marattin, intervenuto nel dibattito con questo post su Facebook.

Ora: si potrebbe discutere per ore su quanto le iniziative ricordate da Marattin siano state o siano effettivamente utili. Io credo che il PD renziano abbia fatto, sul fronte della lotta alla povertà e della redistribuzione del reddito, molto ma non abbastanza, e che abbia anche sbagliato parecchio dal punto di vista comunicativo. Ma qui vorrei andare al di là del contenuto specifico della discussione.

Quel che mi chiedo è: perché “partito dei ricchi” dovrebbe essere una specie di insulto? In una democrazia liberale sana, il benestante dovrebbe essere visto anzitutto come uno che ha talento e competenza e che ha saputo servirsene per guadagnarsi una buona posizione nella società. Certo, non è sempre così: c’è chi è ricco di famiglia e ha semplicemente ereditato la sua fortuna senza avere alcuna competenza particolare; e c’è chi si arricchisce con l’inganno e la frode, o anche solo per scaltrezza. Ma a voler ben vedere, è la stessa cosa anche per i “poveri”. Cioè: c’è chi è povero ‘involontariamente’ perché nasce o viene a trovarsi in una situazione sfortunata, e c’è chi è povero perché ha fatto scelte dissennate.

Come in ogni ambito, anche quando si parla di “ricchi” e “poveri” generalizzare è assurdo. Ciascun individuo fa storia a sé: ci sono cittadini modello ricchi e cittadini modello poveri, come anche pessimi cittadini ricchi e pessimi cittadini poveri. Se nel discorso pubblico la generalizzazione fatta da Prodi funziona, è sintomo di un problema grave: vuol dire che per tanti italiani, soprattutto di sinistra, essere ricco è un qualcosa di intrinsecamente negativo. Come se arricchirsi grazie al proprio impegno e al proprio talento sia impossibile o, peggio, comunque sbagliato.

L’idea alla base dell’equivoco è quello che potremmo considerare l’assioma fondamentale del pensiero socialista ottocentesco: chi accumula risorse sta per forza di cose sottraendo quelle risorse a qualcun altro. Il tema è molto complesso, ma sinteticamente potremmo dire che il bug di questo ragionamento, smascherato con dovizia di particolari da tanti teorici del pensiero liberale, è che considera la ricchezza globale come un qualcosa di statico, che l’autorità dovrebbe semplicemente distribuire tra tutti; mentre invece le risorse variano continuamente, e chi si arricchisce spesso lo fa perché crea nuove risorse grazie al suo talento e alla sua intraprendenza.

Facciamo un esempio terra terra. Alcuni youtuber sono milionari: hanno centinaia di migliaia di follower che seguono i loro video, e YouTube li riempie di denaro semplicemente perché attirano inserzionisti pubblicitari e quindi fanno arricchire la piattaforma. In questo caso a chi sarebbero state proditoriamente sottratte le risorse messe assieme dai milionari? Certo non al loro pubblico, che può accedere al loro lavoro gratuitamente. Non si può nemmeno parlare di sfruttamento del lavoro, dato che non esistono operai o manovali coinvolti nell’operazione. Gli youtuber e gli influencer sono l’esempio perfetto di come si può accumulare ricchezza solo col proprio talento e la propria intraprendenza, senza danneggiare nessuno. Tutto a posto, dunque? Apparentemente no. Anzi, dare addosso agli influencer più famosi è quasi uno sport nazionale: basti pensare al livore che hanno soprattutto i progressisti verso una come Chiara Ferragni, colpevole, udite udite, di aver messo in vendita delle bottiglie d’acqua ‘griffata’ a otto euro l’una. Il popolino era talmente scandalizzato che un marziano avrebbe potuto ragionevolmente pensare che l’acquisto di quell’acqua fosse stato imposto a tutti per legge.

Si torna dunque al sottotesto della considerazione fatta da Prodi: per tanti progressisti diventare ricchi è sempre e comunque una colpa. Magari puoi essere perdonato se diventi ricco con la filosofia e la letteratura, ma se lo fai con lo smalto per le unghie devi essere per forza il nemico.

C’è solo la persistenza dell’ideologia socialista ottocentesca dietro a questi pregiudizi? Probabilmente no: la mia impressione è che i resti di quell’ideologia siano intrecciati, in questo caso specifico, alla dilagante invidia sociale che è il vero motore dietro la forza dei movimenti populisti. Posso avercela a morte con il ricco perché penso che abbia impoverito qualcun altro: ma il più delle volte ce l’ho a morte con lui semplicemente perché lui è ricco e io no. Ecco perché la rabbia aumenta se il ricco è un personaggio frivolo: più il ricco sembra stupido, più la sua ricchezza mi sembra ingiusta di fronte alla mia non-ricchezza. Ma a voler ben vedere dovrebbe essere l’opposto: più il ricco è privo di genialità evidente, maggiore dovrebbe essere l’ammirazione che dovrei avere per la sua ricchezza. Ma purtroppo non viviamo in tempi in cui domina l’ammirazione per il successo altrui, bensì in tempi in cui domina il risentimento per il successo altrui. È l’invidia sociale di cui sopra: Prodi, con la sua affermazione, si mostra non troppo dissimile dai populisti che dice di voler combattere.

Ma anche volendo affermare che dietro i pregiudizi contro i ricchi vi sia solo la persistenza dell’ideologia socialista ottocentesca, abbiamo un bel problema per la sinistra. Il maldestro tentativo di riproporre tal quali nella società contemporanea gli schemi di lettura delle dinamiche sociali dei tempi in cui venne teorizzata la lotta di classe è destinato a sfracellarsi contro il muro della realtà. Non viviamo più nell’epoca del proletariato organizzato e consapevole del proprio ruolo sociale: viviamo nella società liquida della post-modernità, in cui a contare sono più che mai la propria individualità, il proprio talento, la propria intraprendenza. In questo contesto, l’individuo ‘sano’ prende esempio dal talento altrui e lascia che tutti prendano esempio dal suo: e chi è in pace con se stesso e con il proprio quotidiano sforzo per migliorarsi (e per migliorare la collettività) non proverà mai invidia o odio verso chi si è arricchito. Chi propone oggi la lotta di classe sta mascherando dietro l’ideologia la sua incapacità di leggere il presente e di proporre idee e soluzioni nuove e magari un filo più percorribili della rivoluzione proletaria contro i borghesi. Checché ne dicano o ne pensino i nemici da sinistra della liberaldemocrazia, nessuna rivoluzione ‘dal basso’ è dietro l’angolo: mentre la aspettiamo, forse è meglio se cerchiamo di governare il presente senza mettere i cittadini uno contro l’altro sulla base di ideologie vecchie di quasi due secoli.


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