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Sanremo 2016: le mie pagelle

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February 11, 2016 by Mosè Viero

La vera settimana natalizia per gli appassionati di musica italiana è finalmente arrivata, e le ore di sonno già latitano come i congiuntivi negli interventi parlamentari di Razzi.

Dal punto di vista del puro e semplice spettacolo, il festival di quest’anno scorre senza infamia e senza lode, concretizzandosi come la perfetta emanazione dello stile anonimo di Carlo Conti: se il presentatore deve di fatto annullarsi a favore di quel che sta presentando, l’obiettivo è raggiunto. A imporsi tra tutto e a sostenere all’ennesima potenza l’architettura delle serate sono le incredibili performance di Virginia Raffaele, la Anna Marchesini del terzo millennio: raro esempio di virtuosismo nelle caratterizzazioni unito a testi calibratissimi e a un tempismo che rasenta la perfezione.

Cominciamo con lo spacchettamento dei brani in gara. Seguirò l’ordine di esecuzione delle prime due serate; come lo scorso anno, includerò anche i video ufficiali, quando disponibili.

Lorenzo Fragola – Infinite volte

Il buon Lorenzino, pur con tutto l’impegno del mondo, non può puntare oltre la rassicurante medietà che l’ha finora caratterizzato. Il brano in gara quest’anno è un’inoffensiva ballata dal giro armonico strasentito e stra-digerito e dal testo scandalosamente banale e stentato, per di più condito con uno svarione grammaticale da far rizzare i peli sulla schiena (“sento come se hai paura”). Per compenso il video, girato a Brighton, ha un’ottima fotografia. Ma Sanremo non è il festival dei video.
Voto: 4,5

Noemi – La borsa di una donna

La scelta fatta da Noemi nel presentare il brano La borsa di una donna è al contempo coraggiosa e sciocca. Coraggiosa perché la canzone, scritta tra gli altri (e si sente) da Marco Masini, è difficile da interpretare, attestandosi su tonalità sempre piuttosto basse ed esibendo un ritornello che ingrana solo dopo molti ascolti. Sciocca perché il contenuto, pretenzioso pur non elevandosi mai oltre il genere, rappresenta l’ennesima variazione sul tema del “siamo così, dolcemente complicate”. Noemi: è dall’inizio della tua carriera che ti etichettano come la Mannoia dei poveri. Se fai così te le cerchi.
Voto: 5

Dear Jack – Mezzo respiro

Già l’anno scorso ci siamo dovuti sorbire questa boy band anni ’90 fuori tempo massimo (peraltro le boy band trituravano gli zebedei bastantemente anche quando erano in auge, ndr): in questa edizione si va oltre e si tenta la scissione dell’atomo. La band ha cambiato cantante, e il cantante dell’anno scorso si esibisce da solo. Nessuna sorpresa all’orizzonte: Mezzo respiro è una canzoncina senza nerbo, che ripete continuamente il suo titolo sperando nell’effetto tormentone. Riprovateci l’anno prossimo. Anzi: no.
Voto: 3

Giovanni Caccamo e Deborah Iurato – Via da qui

Pur dopo lunghi quarti d’ora di sforzo, fatico a spiegarmi il senso di questa canzone. Caccamo, che tra l’altro ha urgentemente bisogno di un nome d’arte, l’anno scorso vinse la sezione giovani con un brano scritto da lui, e contribuì anche alla scrittura del bel pezzo portato in gara da Malika Ayane. In questa edizione si affida inspiegabilmente alla penna di Giuliano Sangiorgi, il Ken Follett della musica italiana: uno che scrive parole senza senso ma che non sbaglia una linea melodica neanche se lo bendi prima di farlo sedere al pianoforte. Se Caccamo fosse un urlatore come Sangiorgi potrebbe anche starci: ma è, al contrario, una specie di dandy che sussurra elegantemente, e che sta a una canzone dei Negramaro come un diabetico sta alla sacher (cit.) A urlare ci pensa la Iurato, che quando interviene trasforma un pezzo inizialmente interessante nella riedizione di Aleandro Baldi e Francesca Alotta. Signore pietà.
Voto: 4

Stadio – Un giorno mi dirai

Gli Stadio hanno alle spalle una carriera lunga e per certi versi gloriosa, anche se non hanno mai toccato più di tanto le mie corde. Il brano che portano in gara affronta il difficile tema del rapporto padre-figlia, ma lo fa con retorica eccessiva e sentimentalismo kitsch: senza contare che il ritornello, costruito come una sorta di coro da stadio, risulta in qualche modo avulso, poco consistente col resto del brano. Sembra una canzone del più stanco Vasco Rossi: e l’interpretazione di Curreri, almeno durante la prima serata, è stata decisamente sottotono.
Voto: 5

Arisa – Guardando il cielo

Arisa è un personaggio davvero particolare, che unisce all’aria stralunata una impressione di straordinaria ‘pulizia’ e una naiveté che indubbiamente attirano interesse e curiosità. Come cantante è niente più di una voce squillante e intonata: a conferire personalità alle sue performance è, per l’appunto, la natura del carattere. Il brano in oggetto è manierismo pop inoffensivo e un po’ consunto, scritto dall’autore storico di Arisa Giuseppe Anastasi, che non finiremo mai di ringraziare per la mitica Sincerità del 2009. Guardando il cielo non è un pezzo così terribile, se non fosse che a un certo punto c’è una frase che sembra uscita da una canzone degli anni Trenta (“Eppure sai che ogni notte prima di dormire io / che ho preso tutto da mia nonna faccio una preghiera a dio / potrà sembrarti rituale, però a me dà serenità”). Chiamate un esorcista, o almeno il professor Zapotek.
Voto: 5

Enrico Ruggeri – Il primo amore non si scorda mai

Ruggeri è un protagonista assoluto della storia della musica pop e rock del nostro Paese, e ha una caratteristica quasi unica: i suoi pezzi sono facilmente accessibili anche a chi non frequenta il cantautorato o il rock indie, eppure volano alto e concedono pochissimo al mainstream. Ne consegue che Ruggeri è musicista libero e difficilmente classificabile, con periodi di successo e altri più oscuri, amato da esperti e profani, vecchi e giovani, trasversale (anche politicamente) nel senso più positivo del termine, come solo i grandi artisti riescono a essere. La sua caratura è evidente fin dalle prime note del brano, che pure non è tra i migliori del suo repertorio: trattasi di una cavalcata pop-rock trascinante e perfettamente calibrata, dall’arrangiamento sostenuto e stratificato e dal testo semplice ma tutt’altro che banale. Verrebbe da dire che se non vince bisogna chiudere la RAI: ma se ci si ricorda chi ha vinto l’anno scorso, c’è da augurarsi piuttosto che arrivi per ultimo.
Voto: 8

Bluvertigo – Semplicemente

[Non ho notizie dell’esistenza di un video ufficiale].

I Bluvertigo hanno un passato più che rispettabile come rockband alternativa, e Morgan ha all’attivo anche diversi album da solista interessanti e molto apprezzati dalla critica militante. Purtroppo il personaggio è scostante e a un certo punto ha dato una virata alla sua carriera buttandosi sulla televisione trash, di cui è diventato icona: un passaggio che oggi è difficile dimenticare del tutto. Semplicemente è una riflessione, musicalmente diseguale e forse un po’ troppo barocca, sul valore di ogni fuggevole attimo: il brano si farebbe ascoltare meglio se il cantante non avesse dimenticato la voce a casa, ma comunque si tratta senza dubbio di uno dei pezzi migliori in gara.
Voto: 6

Rocco Hunt – Wake up

Questo giovane groover è simpatico e ha subito ottenuto il sostegno di una buona parte della critica, anche perché il brano ha energia ed è impreziosito da un inciso che nei prossimi mesi farà furore in radio. Peccato che i contenuti, fondamentali nel rap, siano qualunquisti da far spavento e intessuti di fastidiosissima auto-commiserazione. Dopo aver sentito ‘sta roba per riprendermi ho bisogno di almeno un paio di discorsi di Mario Draghi sulla crisi economica.
Voto: 4

Irene Fornaciari – Blu

La big per interposta persona Irene Fornaciari non ha ancora capito che deve lasciar perdere e aprire una tabaccheria a Frascati. Speriamo che prima o poi se ne faccia una ragione. Nel frattempo ci propina un brano tutto sommato non disprezzabile, che affronta un tema difficilissimo come le tragedie legate all’immigrazione con la giusta delicatezza ma non senza svarioni (“C’è una donna in mezzo al mare vestita di blu / la prende in braccio un pescatore bello come un Gesù”: WHAT?) e non senza forse inevitabili banalità (“Non più guerre e religioni / ma un’altra vita un sogno in più”). Musicalmente, il pezzo è semplice ma toccante: un’interprete più dotata l’avrebbe forse valorizzato di più.
Voto: 5,5

Dolcenera – Ora o mai più (le cose cambiano)

Come ha argutamente scritto Marinella Venegoni su La Stampa, il brano di Dolcenera “parte papa e finisce cardinale”. L’incipit fa presagire un pezzo a metà tra Alicia Keys e Alexia seconda maniera, un finto blues con apposita apertura pop. Purtroppo l’apertura non arriva mai e alla fine l’impressione è che il brano resti in qualche modo irrisolto, lasciando l’aggressiva interpretazione sullo sfondo di un accompagnamento musicale pesante e ridondante. Un vero peccato.
Voto: 5,5

Clementino – Quando sono lontano

Altro giovane rapper napoletano come Rocco Hunt, Clementino presenta un brano meno energico e più tradizionale, che peraltro a tratti sembra quasi una cover di Where is the love dei Black Eyed Peas. Musicalmente, dunque, non c’è niente di nuovo sotto il sole: il testo, se non altro, è un pochino meno ‘gentista’ rispetto a quello di Rocco Hunt. Personalmente sono molto infastidito dal dialetto, ma la musica napoletana ha storia e tradizioni nobili e quindi capisco la tentazione da parte di chi ha quelle radici.
Voto: 4,5

Patty Pravo – Cieli immensi

Il problema di una gara canora in cui ciascun cantante porta un solo brano è quello evidenziato prepotentemente dalla partecipazione di un’artista come la divina Patty: una che può cantare anche l’elenco del telefono, tanto giganteschi sono il suo carisma, la sua storia e la sua originalità interpretativa. Il brano Cieli immensi non è niente di speciale, pur avendo la giusta tonalità per la Grande Veneziana, con strofa bassa e dimessa, ritornello d’ampio respiro e ‘specialino’ alto e solenne: il problema è che se la cantasse chiunque altro la si dimenticherebbe dopo cinque minuti. Invece la canta Patty Pravo. Molti critici hanno risolto il problema dando un “non classificabile”: io mi esprimo, ma pienamente consapevole che sto votando per lei più che per il suo brano.
Voto: 8

Valerio Scanu – Finalmente piove

Ammettiamolo: “in tutti i luoghi e in tutti i laghi” è diventato nel corso degli anni un tale tormentone che forse tutto sommato dobbiamo un ringraziamento al buon Valerione, se non altro per averci fatto tanto ridere. Ora prova a farsi prendere sul serio con un brano non così terribile, scritto da Fabrizio Moro: anche se la strofa si conclude con un momento crescente non del tutto risolto dal ritornello. Il problema vero però è che Scanu interpreta il pezzo in maniera anonima, senza alcuna personalità, facendoselo come scivolare addosso. Eppure non tutto è perduto: per esempio come aiutante di Irene Fornaciari nella tabaccheria a Frascati secondo me Valerio sarebbe perfetto.
Voto: 4

Francesca Michielin – Nessun grado di separazione

Questa ragazza bassanese viene portata in giro su un piatto d’argento, come se fosse il talento del secolo: a me sembra una specie di Elisa incrociata con la Pausini, ma sbaglierò io. Epperò: oltre ad aver mostrato con orgoglio, nella sua prima esibizione, un outfit molto criticato sui social ma che a me (ovviamente) ha fatto perdere la testa, la Michy porta in scena un brano che, pur esile e un po’ monocorde, rimane in mente e si fa canticchiare con soddisfazione. Certo, dal punto di vista puramente lirico sarebbe forse stato meglio evitare l’infilata di “soddisfazione”, “esitazione”, “divisione”, “separazione” eccetera, ma alla fine l’effetto alienante ha anche ricadute positive.
Voto: 6

Alessio Bernabei – Noi siamo infinito

L’ex cantante dei Dear Jack ci regala questo furbissimo brano dal sapore internazionale, con citazioni forse troppo disinvolte da Ariana Grande e dai Coldplay. È un po’ la riedizione dell’operazione fatta da Nek lo scorso anno: mi verrebbe da dire che se per avere un sound europeo bisogna per forza sfiorare il plagio, meglio puntare all’italianità pura. Senza contare che la forza interpretativa del Bernabei è paragonabile a quella di Valerio Scanu. Magari in tabaccheria servono altri commessi.
Voto: 4

Elio e le Storie Tese –  Vincere l’odio

Ok, devo chiedere perdono. Riconosco la genialità degli Elii e ho apprezzato tantissimo le loro due precedenti partecipazioni al festival (La terra dei cachi del 1996 e La canzone mononota del 2013): ma questo loro brano non mi convince. L’intento de-strutturalista è chiaro: trattasi di una serie di ritornelli giustapposti, esilmente (e spassosamente) collegati da insensati spunti tematici, conchiusa da una sorta di nota a piè di pagina che spiega velatamente il senso dell’operazione citando (al contrario) il famoso brano Perdere l’amore con cui Massimo Ranieri vinse il festival nel 1988. Il problema è che il tutto si concretizza in un brano volutamente senza capo né coda, così violento nei confronti della forma-canzone da devastarla del tutto. Secondo me EelST dà il meglio di sé quando mantiene le convenzioni formali del brano pop: la de-strutturazione funziona davvero solo se la struttura rimane in qualche modo riconoscibile. Basti pensare, tanto per fare un esempio recente, al sublime brano Complesso del Primo Maggio: complicato, ma non illeggibile.
Voto: 6

Neffa – Sogni e nostalgia

Dopo un esordio vicino al rap, Neffa si è sorprendentemente trasformato in un valido chansonnier dal sapore un po’ retrò: il brano in gara è un curioso swing alla Celentano, arrangiato con cura (notevole, in particolare, la presenza del clavicembalo). Forse l’atmosfera che ne risulta è eccessivamente neutra e compassata, volta più verso il passato che verso il futuro: ma il pezzo resta dignitoso e può migliorare con un’interpretazione meno trattenuta.
Voto: 6

Annalisa – Il diluvio universale

Annalisa si presentò, lo scorso anno, con un orripilante pezzo di Kekko dei Modà: quest’anno poteva solo migliorare e infatti migliora, anche se non di molto. Il brano, scritto da Diego Calvetti (autore senza infamia e senza lode assai in voga tra gli interpreti più disparati, da Noemi a Bianca Atzei fino alla stessa Patty Pravo), vede lo zampino della cantante per quel che riguarda il testo, che a un certo punto azzarda la parola “puttana”, forse per la prima volta pronunciata in modo così chiaro e squillante sul palco dell’Ariston. Musicalmente, ahinoi, il pezzo è stanco e prevedibile: sul ritornello il tappeto musicale si solleva per lasciare spazio ai virtuosismi vocali, col risultato che la canzone pare sostenersi esclusivamente sulle doti della pur brava cantante. Rimango perplesso.
Voto: 5

Zero Assoluto – Di me e di te

Il “turuturututtu” rimarrà incollato a questi due ragazzotti in omnia saecula saeculorum, un po’ come i laghi e i luoghi per Scanu. Il brano portato in gara quest’anno è pop energico che punta al tormentone e che è per giunta corredato da un video che pone l’accento sul carattere danzereccio dell’operazione. Peccato che il sound sia un po’ vecchio, ancorato agli anni dell’esordio del duo: e nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata. Resta comunque un pezzo simpatico e senza pretese, sicuramente migliore di parecchie altre canzoni in gara.
Voto: 5,5


2 comments »

  1. Nicolò says:

    oh, cercavo Ruggeri e ho trovato questo 😀
    https://www.youtube.com/watch?v=7nll84ObTcw

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