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Festival di Sanremo 2021 – Le mie pagelle

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February 26, 2021 by Mosè Viero

(Articolo aggiornato a dopo la finale)

Il Festival è terminato con la vittoria dei Måneskin. Radiofonicamente hanno vinto a mani basse Colapesce e Dimartino, il cui pezzo spacca: mi cospargo il capo di cenere per non aver colto la sua forza dopo uno o due ascolti. Il voto da casa ha, per una volta, premiato proposte valide e contemporanee: ma non dobbiamo farci l’abitudine.
Dopo più di una settimana dalla fine della kermesse, cambierei molti dei voti assegnati a tambur battente: ma credo sia giusto lasciare le pagelle così come sono.
I BIG sono ordinati in base all’uscita in scena, i Giovani sono ordinati casualmente.
Buona lettura!


CAMPIONI


Arisa – Potevi fare di più

In occasione delle sue scorse innumerevoli partecipazioni al Festival fummo assai indulgenti con Arisa: per la sua adorabile aria stralunata, per la voce pulita e capace di virtuosismi senza pari, per il suo piglio interpretativo al contempo solido e svampito. Ma quando è troppo è troppo: quest’anno la nostra cara Rosalba porta inspiegabilmente in gara un pezzo di Gigi d’Alessio, il re Mida al contrario della musica italiana, colui che ogni cosa che tocca la rende una schifezza. Non stupisce dunque che Potevi fare di più sia una immonda porcheria: stupisce invece lo strano percorso della sua interprete, che a un certo punto, ai tempi della meravigliosa La Notte, sembrava sul punto di imboccare la strada della canzone d’autore. Ma forse il suo è l’esempio perfetto della strana identità dell’interprete puro, alla Mina: canto qualsiasi cosa perché posso permettermelo. In generale ci stiamo dentro, in questo caso specifico no.
Voto: 3

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Colapesce e Dimartino – Musica leggerissima

Questi due ragazzotti siciliani hanno calcato il palco dell’Ariston già diverse volte: però virtualmente, ossia in veste di autori, tra l’altro per artisti presenti tutti anche quest’anno (Arisa, Annalisa, Francesco Renga, Malika Ayane). La loro prima partecipazione in persona si fa per il tramite di un pezzo che sembra uscito dalla discografia dei Bee Gees o dei Dik Dik: siamo di fronte a classicissimo disco-pop anni Settanta, che diventa viaggio nella memoria anche e soprattutto per via del canto sempre sovrapposto, quasi una cifra della musica di quell’epoca. La spensieratezza dell’arrangiamento trova eco nel testo, costruito attorno a una voglia di evasione che ben si attaglia alla difficile situazione contingente. Non è un capolavoro, ma si fa ascoltare e resta in testa.
Voto: 6

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Aiello – Ora

Il cantautore calabrese Antonio Aiello presenta un pezzo che si muove su sonorità contemporanee diseguali e ‘sporche’, un po’ sullo stile di Mahmood: ma nonostante il ritornello melodico l’operazione non riesce del tutto, soprattutto per via di un approccio interpretativo eccessivamente aggressivo e inelegante, del tutto privo di quella padroneggiata compostezza che innerva la produzione dell’autore di Soldi. Il comparto lirico, poi, è talmente sopra le righe da sfiorare il ridicolo: “Quella notte io e te / sesso ibuprofene”; “Ci tenevo a mostrarmi come un drago nel letto”; “L’atteggiamento di uno stronzo invece era terrore”. Non ci convince.
Voto: 5

video ufficiale


Francesca Michielin e Fedez – Chiamami per nome

La giovane cantante bassanese e il celeberrimo rapper milanese sono i superfavoriti: le loro collaborazioni passate hanno sempre sbancato il botteghino (Cigno neroMagnifico) e la partecipazione della Michielin al Festival nel 2016 con Nessun grado di separazione non ha visto la vittoria per un soffio. Spiace dirlo ma l’atteso pezzo che spacca tutto non è arrivato: Chiamami per nome è un brano pop frivolo e senza pretese, nel quale le voci degli interpreti si sovrappongono e giustappongono senza chiave strutturale. Molto bello è invece il video, che rende omaggio alla resistenza del mondo dello spettacolo dal vivo, messo in ginocchio dalla pandemia.
Voto: 5

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Max Gazzè e la Trifluoperazina Monstery Band – Il farmacista

I due Gazzè (Max lavora da sempre fianco a fianco col fratello Francesco) sono tra le espressioni migliori della musica italiana contemporanea: infinitamente creativi anche sul lato estetico, solidissimi sul piano della composizione e dell’arrangiamento, e per di più dotati di un frontman dall’interpretazione caratterizzata e dalla voce immediatamente riconoscibile. Il farmacista è un pezzo ‘gazziano’ ultra-classico: siamo di fronte a una irresistibile marcetta costruita sull’elenco improbabile e sulla terminologia fintamente specialistica, arricchita dal piglio citazionista (Frankenstein Junior) e dalla trovata della finta band, costituita da sagome di cartone. Il tema è di stretta attualità pur avendo piglio universale: siamo nel tempo dell’onnipotenza mediatica del medico, spesso trattato da vate e da tuttologo, ma l’idea che il farmaco possa curare qualsiasi cosa è perniciosa tanto quanto il rifiuto della scienza. È tutto molto bello, ma l’impressione di già visto, per chi come noi conosce a memoria il repertorio degli autori, è fortissima: il pezzo sembra la versione 2.0 di Sotto casa, ed è la prima volta che i Gazzè ci lasciano questo amaro in bocca. Dobbiamo ammettere che ci aspettavamo di più.
Voto: 7

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Noemi – Glicine

Noemi ci è molto simpatica, ma nonostante gli sforzi secondo noi continua a faticare l’individuazione di una sua dimensione artistica, prigioniera di una produzione che ha visto i suoi momenti più dignitosi solo all’inizio della carriera (BricioleL’amore si odia). Glicine è un pezzo sanremese classicissimo e usuratissimo, con strofa in minore, ritornello aperto, peraltro un po’ stentato con il suo verso tronco e accenti improbabilissimi, e infine l’immancabile e orripilante special slegatissimo dalla melodia. Niente da fare.
Voto: 4

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Madame – Voce

Signore e signori che pezzone. Finora avevo ascoltato pochissimo della produzione di questa giovanissima rapper peraltro mia quasi compaesana (è di Creazzo, in provincia di Vicenza): ma quello che abbiamo sentito ieri sera ha tutta l’aria di essere il frutto di una vena artistica davvero mirabile e senz’altro meritevole di attenzione. Voce è un distillato di sonorità contemporanee, bilanciate con la cura dell’alchimista e mescolate con la perizia del prestigiatore: c’è l’urban rap, c’è la trap, c’è il famigerato autotune, ma c’è anche la struttura stratificata, gli archi, l’uso sapiente dell’orchestra, la melodia incastrata alla perfezione nei graffi diseguali dell’urgenza dell’ispirazione. Certo, c’è anche l’impaccio della giovane età, l’interprete che vaga senza ragione per il palco, che mangia le parole, che ‘butta via’ un po’ troppo il suo canto. Ma Voce è senza ombra di dubbio, e di gran lunga, il pezzo migliore sentito finora.
Voto: 8

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Måneskin – Zitti e buoni

Andiamo dritti al punto: dai Måneskin mi aspettavo meglio. Cioè: mi aspettavo un pezzo più adatto al palco dell’Ariston, con un piglio melodico più forte, con la possibilità di usare meglio l’orchestra. Il prode quartetto, d’altro canto, si è già ampiamente dimostrato adatto alla bisogna. Zitti e buoni invece è rock duro e puro senza compromessi: cattivo, sboccato, fin troppo ‘serio’ nei toni e interpretato con rabbia e aggressività. Epperò: stiamo pur sempre parlando di un gruppo che si scrive tutto, che è irrimediabilmente e convintamente fuori moda, e che, diciamolo, fa sentire noi quarantenni, che potremmo essere i loro genitori, nel pieno delle forze e della giovinezza. Come si fa a non voler un po’ di bene a questi ragazzi?
Voto: 7

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Ghemon – Momento perfetto

Momento perfetto è un pezzo particolare e fuori dagli schemi un po’ come il suo autore e interprete: la partitura alterna una strofa in levare vagamente distonica a un ritornello in perfetto swing, ma non mancano momenti quasi r&b, in particolare nello special. Il primo impatto è complicato e la tessitura multiforme non facilita per nulla l’approccio: ma il pezzo è destinato a crescere con il moltiplicarsi degli ascolti, e le liriche intrise di positive thinking possono fungere da traino.
Voto: 6

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Coma_Cose – Fiamme negli occhi

Il brano del duo Zanardelli & Mesiano, compagni di vita e di lavoro (ma lui ha avuto anche una precedente dignitosa se non breve carriera solista sotto il nome di Edipo), è un viaggio nelle sonorità degli anni Novanta, con riferimenti fin troppo insistenti sia interni (Üstmamò) sia internazionali (You’re gorgeous dei Babybird). Il testo è simpatico e situazionista, con immagini davvero particolari: “Metà sono una donna forte / decisa come il vino buono / metà una Venere di Milo / che prova ad abbracciare un uomo”. Non resterà alla storia e soffre di derivazione eccessiva, ma Fiamme negli occhi è piacevole, ben arrangiato e, su disco (un po’ meno sul palco), anche ben cantato.
Voto: 7

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Annalisa – Dieci

Pulita nelle interpretazioni e graziosa nell’approccio, Annalisa ha sempre sofferto, un po’ come Noemi, per un repertorio non all’altezza. Da qualche tempo la situazione sembrava migliorata, con un progressivo allontanamento della cantante dal pop inoffensivo e prevedibile verso tonalità più surreali e caratterizzate anche musicalmente (Avocado toastHouse Party). Purtroppo il pezzo per il Festival ci riporta alla casella di partenza: Dieci è pop italiano stra-sentito, banale e privo di qualunque guizzo di creatività. Peccato.
Voto: 4

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Francesco Renga – Quando trovo te

Ex frontman dei Timoria, Renga ha avuto un inizio di carriera solista fulminante, che gli ha fatto portare sul palco dell’Ariston tre pezzoni come Raccontami, Tracce di te Angelo, che ascolto ancora oggi sempre volentieri. Poi però qualcosa è andato storto e la carriera del nostro si è inesorabilmente incagliata in produzioni sciatte e prevedibili. Quando trovo te è un po’ meglio rispetto ai brani presentati negli ultimi anni e riesce a esibire qualche interessante sfaccettatura sonora dovuta probabilmente all’apporto di Dardust, che in questa edizione del Festival è come il prezzemolo (ha collaborato a ben cinque pezzi in gara). Ma il tentativo di svecchiamento si è fermato a metà del guado, lasciandoci in mano una canzone annegata nella sua struttura inesorabilmente sorpassata, che può piacere solo a chi non si è accorto di cosa è successo alla musica negli ultimi vent’anni.
Voto: 4

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Fasma – Parlami

Il giovane rapper romano Tiberio Fazioli partecipò lo scorso anno alla gara delle nuove proposte e pur non vincendola ha avuto sufficiente successo da essere stato promosso d’ufficio tra i BIG. Parlami ribadisce punto per punto la poetica del suo autore e interprete, già ‘centrata’ nel brano della scorsa edizione: l’uso estensivo dell’autotune e l’approccio svagato fanno pensare alla tipica musica post-contemporanea per giovanissimi, ma la struttura classica e le venature post-rock proiettano l’operazione verso lidi più condivisi, fruibili anche da chi ha risolto il problema dell’acne. Il risultato è una curiosa alchimia tra formule differenti, che corre il rischio di sembrare troppo vecchia per i giovani e troppo giovane per i vecchi. Se non altro dietro sembra esserci un minimo di ispirazione.
Voto: 5

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Orietta Berti – Quando ti sei innamorato

Orietta Berti è l’unica partecipante a un Festival tutto suo: quello del bel canto tradizionale, della melodia aperta e pomposa, della composizione retorica e prevedibile (dietro cui si cela nientemeno che un redivivo Francesco Boccia: chi si ricorda il trashissimo Turuturu di Sanremo 2001?) Senza giri di parole: nel 2021, un pezzo come Quando ti sei innamorato è indifendibile. Ma c’è un ma: se lo si vede non tanto e non solo come un’operazione nostalgia ma anche come l’orgogliosa rievocazione di una stagione che ha reso la musica italiana famosa nel mondo, e se ci si sofferma non soltanto sull’essere fuori tempo della sua interprete ma anche sulla sua modestia, sulla sua irresistibile compostezza da vecchia zia che non pretende di essere per forza postmoderna come certe arzille popstar, qualcosa cambia. E poi vogliamo parlare di quella perfezione interpretativa, a settantasette anni suonati? Fucilatemi pure, ma non riesco a darle meno di così.
Voto: 6

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Bugo – E invece sì

Retrospettivamente, va detto che Sincero era senza dubbio il pezzo migliore del Festival dello scorso anno: è un grande peccato che la caratura del brano sia stata messa in ombra dalle polemiche e dai meme relativi allo scazzo tra i due interpreti. Questa poteva e doveva essere l’occasione del riscatto per Bugo, un artista davvero particolare, che riesce a mettere in musica le situazioni più quotidiane e insignificanti donando a esse una luce universale. Spiace dire, però, che E invece sì non è un pezzo all’altezza: oltre a essere pericolosamente in bilico tra il citazionismo e il plagio (Il mio canto libero), è segnato da una struttura un po’ frammentata, che lega a stento la strofa, il bridge su rullo di tamburi, il ritornello e la parte strumentale. Non aiuta poi il piglio interpretativo del nostro, decisamente poco intonato. Si dirà: anche quella è una sua cifra stilistica, e in parte è vero. A pensarci bene, il duetto dello scorso anno era potenzialmente perfetto anche per l’estrema diversità dei suoi due poli: da un lato ruvida genuinità melodica, dall’altro glam colto e citazionista. È un vero dispetto che la formula non abbia funzionato.
Voto: 6

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Gaia – Cuore amaro

Nonostante esca da quel vivaio di inutilità noto come Amici, questa ragazza ha del talento, dimostrato attraverso hit che hanno raggiunto un notevole successo anche internazionale (Coco ChanelChega). Mi aspettavo molto dalla performance sanremese, ma non sono particolarmente entusiasta: Cuore amaro è un pezzo spagnoleggiante banale e prevedibile, assolutamente non all’altezza delle hit sopracitate, più caratterizzate e anche post-prodotte molto meglio. Sembra di essere di fronte a un brano del repertorio di Elettra Lamborghini: ma qui manca tutto il corollario legato al personaggio, che rende accettabile e anzi benvenuto ciò che in questo caso pare riduttivo.
Voto: 5

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Lo Stato Sociale – Combat Pop

Anche in questo caso la domanda è: qual è il confine tra il sentito omaggio e il quasi plagio? Combat Pop è un pezzo movimentato tutto costruito attorno a frasi brevi, ora collegate e ora giustapposte, in forme molto simili a quelle viste ne Il rock di Capitan Uncino di Edoardo Bennato. La messa in scena è ovviamente parte integrante dell’operazione: questa volta alla “vecchia che balla” si sostituisce un numero a metà tra il trasformismo e la prestidigitazione, con la bella idea del frontman che compare solo alla fine da dentro uno scatolone, facendo solo finta di cantare (e non ci si poteva far sfuggire l’occasione della citazione dotta: “Dov’è Lodo? Che succede?”) Come da tradizione, l’apparente disimpegno nasconde un tema serio e importante: cosa fare quando ci si rende conto che la propria arte alla fine serve solo per “vendere pubblicità”? L’esibizione alla fine è piacevole e divertente, e probabilmente riserverà sorprese diverse nelle varie serate, ma l’impressione è di essere di fronte a una versione 2.0 di Una vita in vacanza, con il gruppo, pur indubbiamente talentuoso, un po’ prigioniero della sua stessa identità.
Voto: 6

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La Rappresentante di Lista – Amare

Il duo composto da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, rispettivamente voce e polistrumentista nonché autore dal buon curriculum, porta in scena un brano di pop contemporaneo un filino troppo mainstream, ma non privo di elementi di interesse. Il ritornello, in particolare, ha una struttura che parte da tonalità alte ma riesce comunque a crescere, forte della voce squillante e precisa dell’interprete, e rimane in mente, risultando sommamente ‘classico’ nonostante le sonorità screziate innestatevi dall’onnipresente Dardust. Il testo è misurato e perfettamente calibrato col tema, ovvero l’amore per tutto, incluso l’insignificante. Non male, ma si poteva sperare in qualcosa di più fortemente caratterizzato.
Voto: 6

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Malika Ayane – Ti piaci così

Malika mi fa paura. Non per il suo aspetto né per la sua musica, ma perché quando la penso ho il terrore che il suo incredibile talento si sprechi nei rivoli fognari del mondo dello spettacolo, della bravura chiamata a nobilitare il trash, dello sciocco divismo televisivo. Questa cantante pazzesca non ha bisogno di tutto questo, e se fossimo in un paese civile le verrebbe subito assegnato d’ufficio un manager che la bacchetta appena le viene qualche idea strana (com’è ahinoi già successo). Poi sento un pezzone come Ti piaci così e la paura passa: il brano, scritto da Malika assieme alla sua metà artistica Pacifico, è sopraffino pop con venature dance, un po’ tradizionale e un po’ elettronico, con un testo dalle parole utilizzate con precisione chirurgica e messo in scena con un approccio interpretativo da consumata star che sembra quasi ingiusto mettere in competizione con gli altri. Se non vince chiedo a Renzi di far saltare Amadeus e di sostituirlo con Draghi.
Voto: 8

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Extraliscio ft. Davide Toffolo – Bianca luce nera

Questo curioso connubio, che mette assieme il gruppo specializzato in musica da balera con il cantante e fumettista orgogliosamente indie, ha portato a un risultato tutto sommato prevedibile: Bianca luce nera è a metà strada tra il liscio e la musica balcanica, ma esibisce comunque una linea melodica precisa pur se leggermente ripetitiva. Chi si aspettava un graffio da parte di Toffolo, dunque, è destinato a restare deluso. La curiosità è che tra gli autori figura Elisabetta Sgarbi, sorella del più celebre Vittorio, manager in vari settori culturali, a capo dell’etichetta degli Extraliscio ed editore di Toffolo, la quale a quanto sappiamo è esordiente nel campo musicale.
Voto: 5

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Ermal Meta – Un milione di cose da dirti

Non perdonerò mai a Ermal Meta di aver partecipato a quella inqualificabile porcheria che è stata Non mi avete fatto niente, vincitrice del Festival nel 2018; più in generale, la carriera di questo pur bravo artista non mi ha mai convinto se non agli inizi, nelle band Ameba4 e La fame di Camilla e nella prima prova solista Odio le favole. Ma devo essere sbagliato io, dato che Ermal piace moltissimo e ogni volta che mette piede all’Ariston riceve grandi consensi. Anche quest’anno sembra destinato ad andare così: Un milione di cose da dirti è una ballata poetica e struggente, di sicura presa sul pubblico più sensibile al tema sentimentale. Noi ribadiamo le nostre perplessità.
Voto: 5

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Random – Torno a te

Questo giovanissimo cantante è un altro prodotto di Amici: un prodotto, ci sentiremmo di dire, di cui non si sentiva il bisogno. Torno a te è una ballad vecchissima nei suoni e nell’anima: non sfigurerebbe dentro al repertorio anni Novanta di Michael Bolton o di Alicia Keys, che peraltro avevano tutt’altro piglio interpretativo. Il testo poi è quasi imbarazzante nella sua pochezza: “Cercami e mi troverai / dentro le note che mai scriverei / È solo il tempo che scriverà il resto / Che cambia se siamo diversi dal resto”. E poi Amadeus dice che ha dovuto aumentare i cantanti in gara perché era impossibile dire di no a questi pezzi. Ama, ripeti con me: NO.
Voto: 4

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Fulminacci – Santa Marinella

Questo artista giovane e dimesso è da tenere d’occhio. La sua produzione riesce a far convivere con grande armonia i riferimenti al cantautorato tradizionale con le suggestioni del pop italiano cosiddetto indie, alla Tommaso Paradiso. Santa Marinella è un pezzo classicissimo, con un giro armonico che fa sentire subito a casa chi è cresciuto a pane e De Gregori, e nel quale i riferimenti estetici trovano perfetto contrappunto nell’ambientazione romana, che fa da sfondo a una storia d’amore raccontata con accenti svagati ma non banali e a tratti decisamente commoventi. L’arrangiamento, forse messo a punto con in mente l’orchestra sanremese, ricopre il brano come una gualdrappa fin troppo pesante: probabilmente in versione minimalista il pezzo brillerebbe di più. Ma ci piace lo stesso.
Voto: 7

(per il momento non c’è un video)


Willie Peyote – Mai dire mai (la locura)

I pezzi militanti come quello portato quest’anno in gara da Willie Peyote, cantautore e rapper attivo da più di quindici anni, sono sempre rischiosi: la Storia insegna che spesso si parte con le migliori intenzioni, tipo dar sfogo alla propria ironia dissacratrice, e si finisce nel più bieco qualunquismo. Mai dire mai dimostra plasticamente questa tesi, alternando momenti di denuncia convincente a elenchi di luoghi comuni, in un coacervo di indignazioni sparse e ammonticchiate un po’ alla rinfusa, con inevitabile indebolimento del pur apprezzabile messaggio generale. La citazione dalla mitica serie Boris, che ormai per il pubblico trenta-quarantenne è quasi un catalogo di meme ready-made, in un certo senso conferma questa ambiguità, riuscendo a essere al contempo arguta e scontata. Dal punto di vista musicale, il brano alterna una strofa rappata a un inciso molto catchy, in una struttura tutto sommato classica e prevedibile. Alla critica piace molto, a noi non convince proprio.
Voto: 5

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Gio Evan – Arnica

Questo tizio stralunato, un po’ cantante e un po’ poeta e santone, promette tanto ma alla fine realizza poco: il pezzo Arnica è molto tradizionale, una lenta ballad di rimessa, caratterizzata da un canto fiero e a tratti discontinuo, sullo stile di Brunori SAS. Il testo inanella immagini dalla salienza oscillante e non sempre centrata, in quello che sembra una sorta di agrodolce auto-analisi in chiave di anamnesi. Forse ci sfugge qualcosa, ma ci sembra, nel complesso, un’operazione debole e pretenziosa.
Voto: 4

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Irama – La genesi del tuo colore

Questo bel tomo, che già provò senza successo a farsi notare a Sanremo nel 2016 e nel 2019, ci torna oggi dopo aver raggiunto una grande popolarità grazie ai recenti insopportabili tormentoni estivi (Mediterranea). La svolta è coincisa con una calibrazione dello stile musicale ed estetico, dal rap a una pop-dance pseudo-latina, più accessibile e patinata. La genesi del tuo colore si inserisce appieno in questa nicchia ecologica apparentemente così fortunata: è un pezzo orecchiabile, giovane, inoffensivo e molto ben prodotto. Sicuramente spaccherà in radio, ma noi non ci sentiamo particolarmente coinvolti.
Voto: 4

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NUOVE PROPOSTE


Elena Faggi – Che ne so

La partecipante più giovane è la diciannovenne forlivese Elena Faggi, che ha scritto il brano in gara assieme al fratello maggiore Francesco. Si tratta di un pezzo lieve e simpatico, musicalmente caratterizzato da un minimalismo lo-fi in salsa elettropop e affiancato a un testo appropriatamente, vista l’età dell’interprete, frivolo e sciocchino (personalmente perdo la ragione quando vedo un bimbominkia che riflette sui massimi sistemi: aspetta un po’, avrai tempo da grande, quando sarai disoccupato). L’operazione fonde le tonalità postmoderne in tono minore alla Billie Eilish con l’approccio interpretativo stralunato e svampito alla Arisa, fonti di ispirazione peraltro citate apertamente anche dagli autori. Non è niente di particolarmente rivoluzionario, ma il pezzo si fa ascoltare e si pianta in testa: il fatto poi che sul palco dell’Ariston sarà l’unico brano diretto dal mitico Peppe Vessicchio potrà dargli qualche marcia in più.
(Curiosità: al sottoscritto, la posa della cantante durante Sanremo Giovani ha ricordato moltissimo l’irresistibile Jo Chiarello e il suo “brutto affare” del 1981. Amanti del trash, andate subito a recuperarla!)
Voto: 7 

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Dellai – Io sono Luca

I due fratelli gemelli Matteo e Luca Dellai portano in gara un pezzo pop usuratissimo, che al primo ascolto sembra di aver sentito già ottomila volte. Musicalmente siamo a metà strada tra il teen mood di Benji e Fede e il canto nostrano più tradizionale; il testo cerca di raccontare il disagio adolescenziale con immagini che funzionano solo in parte e che la trovata finale, incentrata sull’identità sovrapponibile dei due performer, non riesce a caratterizzare a sufficienza.
Voto: 4 

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Gaudiano – Polvere da sparo

Il giovane cantautore foggiano Luca Gaudiano presenta un pezzo molto intimista e molto sofferto, che è curiosamente sviluppato tramite un arrangiamento ritmato e apparentemente sbarazzino, con elementi dance e finanche echi gitani. Il tema, la morte del padre, è di quelli scivolosissimi perché potenzialmente foriero di abusi retorici di ogni tipo: il nostro però tutto sommato ne esce bene, inanellando impressioni e riflessioni nate dopo il risveglio dal “sonno anestetico” e riuscendo a essere al contempo verboso e liricamente ‘centrato’. Il fraseggio ha un andamento diseguale: concitato nel ritornello, più lento e aperto nell’inciso, a tratteggiare un’architettura molto classica ma con la sufficiente quantità di scartamenti da non risultare antiquata. Non resterà alla storia, ma non è neanche male: un arrangiamento diverso e più minimalista sarebbe probabilmente stato più adatto al tema.
Voto: 6 VINCITORE!

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Folcast – Scopriti

Il pezzo di Folcast, al secolo Daniele Folcarelli, è puro e distillato pop anni Novanta di buona struttura ma di scarsa originalità. Le due concessioni al sound più moderno sono il ritornello in apertura, che peraltro diventerà stratagemma abusato tra pochissimo, e il brevissimo bridge sospeso dopo la strofa, versione 2.0 dell’attimo di silenzio à la Carmen Consoli. Ci piace anche lo special infilato tra seconda strofa e secondo (anzi, terzo) ritornello: tutto il resto, però, sa irrimediabilmente di già visto. Il testo, poi, è una infilata di banalità senza senso; e la voce del cantante sembra pretendere troppo da se stessa quando si cimenta con le tonalità alte della parte finale.
Voto: 5

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Greta Zuccoli – Ogni cosa sa di te

Pur essendo giovanissima, questa cantautrice ha già alle spalle varie esperienze da corista e vocalist e arriva all’Ariston con l’endorsement nientemeno che di Diodato, il vincitore della scorsa edizione, con il quale ha collaborato nel corso di un tour. Il pezzo in oggetto è avvolgente ed etereo: la strofa ha un andamento diseguale e fa presagire ardite sperimentazioni, ma si risolve invece in un classico ritornello aperto e dalla linea melodica molto chiara. Le atmosfere oscillano tra Bjork, Meg e, per quanto riguarda l’inciso, lo stesso Diodato; le liriche, evocative al limite del surreale (“Quanto pesa l’odore di una notte che non contempla il sole?”), cercano di trasformare il banale tema della fine di un amore in qualcosa di più universale, e l’insistenza del ritornello sugli “alberi” proietta l’operazione verso lidi un po’ celticheggianti, a mezza via tra Enya e la compianta Valentina Giovagnini. È puro e semplice manierismo, certo: ma è fatto bene e manifesta una consapevolezza musicale ‘storica’ non disprezzabile per una autrice solo ventitreenne.
Voto: 7 

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Davide Shorty – Regina

Davide Sciortino, in arte Shorty, è tutt’altro che un esordiente, dato che ha alle spalle già un album, vari singoli e una partecipazione a X-Factor nel 2017, che gli è valsa il terzo posto. Il pezzo Regina è senza dubbio ben costruito e anche ben arrangiato, con un’andatura pop-soul che ricorda gli anni d’oro di Stevie Wonder, con qualche eco di Jamiroquai e una spruzzata di rap a mo’ di specialino, quasi a voler rendere più contemporaneo il tutto. Quel che manca all’insieme, purtuttavia, è un’anima riconoscibile, un tratto identitario se pur minimo: poteva forse darlo il testo, ma la penna degli autori non riesce ad andare oltre una semplice medietà. Così com’è, Regina è un pezzo troppo derivativo per poter lasciare il segno.
Voto: 6

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Wrongonyou – Lezioni di volo

Il trentenne Marco Zitelli, in arte Wrongonyou, ha già alle spalle due album e una carriera che se pur breve l’ha portato a suonare per alcuni mesi anche negli Stati Uniti, nonché a fare da apertura nel tour italiano di Mika. Lezioni di volo ha un inizio ingannevole: l’uso dell’autotune, l’andamento sincopato e il riferimento al cellulare fanno subito pensare al classico pezzo per gggiovani, incapace di dare a chi ha più di venticinque anni qualcosa che non sia l’orticaria. Ma è, appunto, un inganno, anzi forse una sorta di captatio benevolentiae nei confronti del pubblico più sprovveduto: il pezzo è in realtà molto classico, con un ritornello aperto ultra-melodico e un graziosissimo bridge accompagnato da chitarra che rappresenta forse la trovata più fresca dell’insieme. Molti critici vanno in brodo di giuggiole: io penso che non sia male ma che non sia neanche chissà che capolavoro.
Voto: 6

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Avincola – Goal!

Anche il buon Avincola, trentatreenne, non è propriamente un esordiente: bazzica la scena dell’indie romano da anni e ha già provato, senza successo, a partecipare al Festival. Finalmente ce l’ha fatta: il grande pubblico televisivo potrà così fare la conoscenza di questo personaggio così stralunato, con i baffoni da attore porno anni Settanta e una vocina che a confronto Saverio Raimondo sembra Barry White. Goal! tutto sommato non è disprezzabile: è un classico pezzo pop contemporaneo, orecchiabile e ben prodotto, che nel repertorio di Tommaso Paradiso probabilmente scalerebbe le classifiche. Forse il grande problema di chi realizza adesso opere di questo tipo è che sembra arrivato un po’ in ritardo e che al cospetto dei ‘pionieri’ rischia di apparire un po’ come un sottoprodotto. Come disse il poeta, lo scopriremo solo vivendo.
Voto: 6 

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