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Gioie e -soprattutto- dolori del web 2.0

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May 27, 2015 by Mosè Viero

Qualche anno fa pubblicavo su Facebook questa lista semiseria di consigli per un utilizzo proficuo dei social network: la ripropongo anche qui nel blog, con una piccola aggiunta finale.

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Gioie e -soprattutto- dolori del web 2.0

Ovvero: come usare i social network senza far perdere la ragione a chi ha la sfortuna di esserti amico. Dieci semplici regole da tenere sempre a mente prima di inondare la rete di letteratura da fogna e di estetica da banco delle frittelle della sagra.

Regola n.1: In amor (e su Faccialibro) vince chi fugge

Il modo migliore per farsi ignorare da tutti è modificare continuamente il tuo profilo raccontando eventi o pensieri la cui importanza e il cui interesse possono essere misurati solo dagli oscilloscopi al cesio del CERN di Ginevra. Quella rara volta in cui ti verrà l’ispirazione per un post veramente bello (ipotetica del terzo tipo), sarà troppo tardi: i tuoi scritti, ormai, verranno letti solo da quei tuoi amici che commentano con affermazioni di un certo livello tipo OMG, LOL, TVTB, CGIL, CISL, UIL. Ascolta zio Mosè: fatti desiderare. Per prendere il ritmo, fissa una regola. Se sei bulimico, comincia limitandoti a un post al giorno. Poi passa a uno ogni due giorni. Poi a uno alla settimana, che può essere una media accettabile per uno che non è un genio (e mi spiace, a occhio e croce direi che tu non lo sei).

Regola n.2: L’italiano non è un’opinione

Di solito, quando si interpella qualche smanettone dalla testa insonorizzata che produce scritti incomprensibili perché pieni di assurde abbreviazioni, la giustificazione addotta è: ehi, ma così si risparmia tempo! A parte che è una vaccata colossale, cosa devi mai farci col tempo risparmiato? Stai per scoprire la cura contro l’AIDS? Devi correre a operare d’urgenza un moribondo? Hai la rata del mutuo che scade? Prova a pensarci: se tu stesso non ritieni degno di tempo un tuo post, come può qualcun altro trovarlo degno del suo tempo? Quando andrò al potere, ripristinerò il nobile istituto della gogna contro le più gravi forme di maleducazione: e nessuna mancanza di rispetto è peggiore che il parlar male o lo scrivere male.

Se però tu sei l’ennesimo e inconsapevole figlio illegittimo di Platone e di fronte a questa invettiva la tua reazione è: “Ehi, non starai un po’ esagerando? In fondo, la cosa importante è il contenuto!”, sappi che sarà la stessa cosa che risponderò alle tue rimostranze quando, a cena a casa mia, ti offrirò un prelibato manicaretto sopra un piatto non di ceramica ma di cacca di mucca seccata e tenuta insieme con urina di cammello. Bon appétit!

Regola n.3: Dillo con parole tue

Una buona percentuale dei post su Facebook che compaiono sulla mia home page è costituita da condivisioni di articoli, vignette o fotografie. Talvolta sono cose molto belle, ma per chi ha tanti contatti è impossibile starci dietro: soprattutto nel caso di link a lunghi articoli, le pure e semplici condivisioni sono un invito a passare oltre. Idea geniale: perché, anziché condividere compulsivamente tutto ciò che ti scatena un minimo di interesse, non incanali questo interesse nella produzione di qualcosa di tuo? Può essere una frase di commento alla condivisione, oppure anche un post intero, in cui racconti il tuo punto di vista sull’argomento che ha appena solleticato il tuo ingegno. Se mi serviva un addetto alla rassegna stampa, mettevo un annuncio sul giornale: ti ho dato l’amicizia perché voglio sapere cosa pensi *tu*.

Regola n.4: Banalità, ti ho perso ieri e oggi ti ritrovo già

Come dice il saggio, il mondo non si divide tra buoni e cattivi, ma tra persone interessanti e persone noiose. Ovverosia tra chi ha qualcosa di originale da dire e chi non fa altro che macinare banalità, consumando nel mentre preziose risorse come acqua, aria e cibo. A quale dei due gruppi appartieni? Uno dei più grossi problemi del web è che la forza della parola scritta e accessibile a milioni di persone ti dà l’ebbrezza della popolarità e del consenso: ma è una illusione, dato che questi ultimi si raggiungono sul serio solo se si ha davvero qualcosa da dire. Prima di pubblicare il tuo post, prova a chiederti: cosa sto offrendo ai miei lettori? Sto dando loro una informazione importante? Si faranno una sana risata? In altre parole: sto usando bene il loro tempo prezioso? Un buon test può essere il seguente: se per leggere quel che scrivi i tuoi lettori dovessero pagarti, ti sentiresti in colpa? Oppure il loro denaro sarebbe speso bene? Se hai dei dubbi, lascia perdere e torna alla tua partita a Ruzzle. Tranquillo: dormiremo placidamente anche senza sapere che hai appena perso l’autobus.

Regola n.5: Il fanatico del terzo millennio

Il modo più facile per irritare l’uditorio è essere ossessivi e monotematici. Il mezzo probabilmente favorisce l’incaponimento: sui social network, persone dalle vite apparentemente normali si trasformano in ottusi propugnatori di slogan, immobili e noiosi monoliti che non riescono a parlar d’altro che non sia la loro ossessione del momento, oppure demoni assetati di sangue, pronti a far calare la scure della più profonda ignominia su chiunque osi toccare una loro convinzione (e di solito la regola è: più la convinzione è idiota, più apodittica è la condanna degli eretici). Ecco un piccolo elenco dei fanatici digitali più comuni.

-Animalisti/animalari/vegetariani/vegani

Si moltiplicano con la stessa velocità delle zanzare ad agosto: ormai escono dalle fottute pareti (cit.) E inondano la rete di immagini di cuccioli pucciosi, macelli insanguinati, tabelle nutrizionali, appelli per la protezione di strane bestie in pericolo di estinzione (ma devono essere carine: mai visto nessuno battersi contro l’estinzione di un verme). Pur avendo spesso superato la maggiore età, devono ancora farsi una ragione del fatto che l’uomo è in cima alla catena alimentare, e devono ancora capire che gli animali non rubano e non ingannano non perché sono ‘buoni’, ma perché non ne sono capaci. Ognuno, nella vita, sceglie le sue priorità: se la tua esistenza ruota attorno al tuo graziosissimo giocattolo vivente, non occorre che me lo ricordi ogni dieci minuti.

-Attivisti politici

Ogni evento, anche il pareggio della Ternana nel girone di ritorno, viene da loro interpretato in chiave politica: tutto fa brodo per promuovere la loro idea (leggi ossessione) o il loro candidato preferito. La loro compulsione è la definizione stessa di fanatismo: nel concentrarsi sui mezzi, perdono di vista lo scopo. La palma dei più insopportabili va sicuramente agli attivisti Cinque Stelle, per i quali di solito ogni critica a Grillo equivale a un colpo di coda della “casta”. Ma tranquilli: quando arriveranno al cento per cento, si scioglieranno. Che gusto c’è se non rimane nessuno da mandare affanculo?

-Complottari

Per sua stessa natura, internet favorisce il pensiero dietrologico. In rete fioriscono comunità di fancazzisti che riempiono le loro pigre giornate immaginando complotti planetari dietro ogni evento, dai terremoti alla vittoria di Mengoni a Sanremo. Un filo rosso collega le scie degli aerei, le missioni lunari, la proprietà della moneta, i cerchi nel grano e le cure per il cancro: e questo filo, di solito, è una ignoranza da far invidia allo spettatore medio di Amici. Inutile cercare di convincerli che sono tutte sciocchezze: è più facile convincere il PD a non inciuciare col Caimano.

-Neomamme

Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Ho visto donne consapevoli, impegnate, piene di interessi, trasformarsi dall’oggi al domani in beote che passano tutto il loro tempo a fare pernacchiette e sorrisini a un neonato. E ci tengono a farti sapere tutto, di quella che è la loro più grande creazione (wow, una donna che partorisce: un evento eclatante, in effetti; succede solo 340.500 volte al giorno). Ti informano su quanto ha dormito l’ultima notte, sulla quantità e sul colore della sua deiezione, su quando dice la prima parola, su quando spunta il primo dentino. Tutte cose che mi interesserebbero tantissimo, se solo non dovessi correre a ritirare il cappotto in tintoria. A questo proposito, citerò un passo da un monologo del mio guru Daniele Luttazzi: “Un avvertimento alle mamme: quando vi chiedo l’età di vostro figlio, non mi interessa saperla in mesi. -Ha tredici mesi- Un anno è una risposta più che sufficiente: non è un formaggio. A parte che non me ne fregava un cazzo fin dall’inizio”.

Regola n.6: Schizzi di sangue per colazione

Gli appelli, le denunce e le petizioni hanno da sempre un notevole successo nel mondo digitale: sono comodi, rassicuranti, quasi sempre inconcludenti, e ti danno l’idea di aver fatto qualcosa anche quando in realtà non hai fatto una beatissima mazza di niente. Il problema è che spesso tali appelli prendono la forma di immagini scioccanti, sgradevoli, pervicacemente splatter: immagini che con ogni probabilità censureremmo se l’appello annesso non le assolvesse indirettamente per via pseudo-etica. È capitato anche a te di condividere la foto di un cane squartato per sensibilizzare i tuoi amici sulle violenze contro i cani? Trovi di buon gusto mostrare la foto di un bambino deforme per invitare i tuoi amici alla tolleranza? Forse dovresti porti anzitutto questa domanda: che tipo di gente frequenti, se hai bisogno di sensibilizzarla su tali ovvietà? Esci la sera con persone che ghettizzano i diversi e bastonano i cani? Il punto vero, comunque, è un altro: quale dovrebbe essere l’utilità pratica del tuo messaggio, oltre a turbare la sensibilità di una parte del tuo spero ristretto pubblico di lettori? Cosa penseresti se per mostrare la mia disapprovazione della pedofilia condividessi la foto di un uomo che violenta una bambina? La triste verità è che il tuo obiettivo non è affatto sensibilizzare qualcuno: il tuo obiettivo è solo sbandierare una vacua e ottusa militanza. E dato che le tue capacità intellettuali non ti consentono di raggiungerlo mettendo insieme un pensiero sensato, originale e bello da leggere, ti rivolgi alla ‘pancia’ del tuo sfortunato uditorio, travolgendolo di orrore non richiesto e, ancora una volta, di insopportabili banalità. Sappi che se hai ancora anche un solo amico digitale, è un amico di troppo: probabilmente non se ne è ancora andato solo perché ha perso una scommessa.

Regola n.7: Il didascalismo è il male assoluto

Può capitare di voler far ascoltare una canzone a un amico lontano, e di usare, per risolvere la faccenda in pochi minuti, il classico link di Youtube, dove esiste ormai un ‘video’ per quasi ogni brano edito nella storia della musica. Se di quella canzone esiste un video ufficiale, il problema non si pone: ma se non esiste, siamo nei guai fino al collo. Con ogni probabilità, infatti, quell’essere subumano che ha auto-prodotto il video l’avrà riempito di tremende immagini in movimento, nell’intento di ‘tradurre’ visivamente la canzone: e il risultato del suo lavoro avrà reso il brano da noi tanto amato in un cumulo di macerie fumanti, monumento imperituro alla sciatteria e alla superficialità. Il cantante dice “stelle”: immagine di un cielo stellato. Il cantante dice “bacio”: primo piano di due bocche che si sfiorano. Il cantante dice “tempo”: disegno stilizzato di una clessidra. Prima di produrre il tuo video personale, aspetta. Siediti un istante ché ti faccio una rivelazione sconcertante: l’uomo si differenzia dalle altre specie animali perché è capace di astrazione, di pensiero laterale, di mettere a punto linguaggi complessi caratterizzati da figure retoriche come la metafora, l’analogia, la sinestesia, l’iperbole. Se non conosci le regole basilari del tuo linguaggio, cosa vuoi fare davanti a un computer? Facci un favore: esci e torna a ruzzolare tra le ghiande.

Regola n.8: Il social network non è un telefono!

Domanda da un trilione di dollari: a cosa servono i social network? Risposta tipica: per restare in contatto con persone che magari si son perse di vista. Obiezione ovvia: se si son perse di vista, ci sarà un motivo. Eppure, se quella stronza della tua vicina di banco delle medie, che speravi fosse stata nel frattempo travolta da un tir, si rifà viva, diventa complicato negarle il contatto. E forse non sarebbe nemmeno una buona idea: magari l’ottusa nel corso degli anni è diventata arguta e piena di risorse. Le persone cambiano, basti pensare a Capezzone (ok, forse non è l’esempio migliore). Dopo aver incluso la sciacquetta nella tua lista, però, devi fare un minimo di attenzione. Ma proprio un minimo: diciamo che devi fare un po’ più di attenzione di quella che fai, camminando per strada, per non pestare le pozzanghere. Non so se nessuno te l’ha mai detto, ma in genere tutti i tuoi amici leggono quel che scrivi in bacheca. Se stai organizzando con Tizio una serata per sparlare di Caio, potrebbe essere una bella idea evitare di farlo sapere a Caio. Se non altro per far sì che all’appuntamento non ci venga anche lui, magari con un fucile a canne mozze sotto il braccio. Se invece stai facendo apposta a mettere in piazza i tuoi impegni con qualcuno solo perché qualcun altro se ne abbia a male, allora bisogna risolvere il problema alla radice. Hai presente quei convogli metallici chiamati “treni” che sfrecciano sui cosiddetti ‘binari’ collegando le varie città? Bene: sdraiati su uno di quei binari e aspetta. Dicono che la sensazione che si prova mentre si viene travolti sia indescrivibile. Però mi raccomando: non farlo nell’ora di punta e sulla Venezia-Padova. Devi proprio rompere le palle anche mentre ti ammazzi?

Regola n.9: Non chiederci la parola

Ti sei convinto che non è obbligatorio usare i social network solo per scrivere quisquilie e pinzillacchere? Ottimo. Adesso però devi stare attento a non esagerare in senso opposto. Senti il bisogno di esternare il tuo amore sconfinato nei confronti del tuo partner? Comincia ponendoti questa domanda: sono in grado di esprimerlo a parole? Se sei un grande poeta, vai pure: non vediamo l’ora di leggere quel che hai da scrivere. Ma dato che i grandi poeti sono pochissimi, c’è il fondato rischio che tu non lo sia. E che le tue velleità liriche, quindi, si muovano nello spazio come si può muovere un elefante dentro una cristalleria. Senza contare che c’è anche un’altra questione spesso inspiegabilmente trascurata da tutti: l’importanza del contesto. Mettiamo che tu sia riuscito per una volta nella vita a mettere insieme una frase almeno più interessante di uno scritto di Moccia: pubblicandola in bacheca, i tuoi amici probabilmente la vedranno preceduta dalla foto di una foca squartata e seguita dal commento del risultato del derby. Non è colpa tua: ma il risultato è che il tuo sentimento risulterà irrimediabilmente ‘sporcato’ dalle banalità o dalle idiozie che lo circondano. Succederà un po’ come quando leggi il sito di Repubblica, dove le notizie tragiche sulla sinistra sono sempre e inevitabilmente banalizzate dalle facezie sulla destra (Notizia a sinistra: “Sta per scoppiare la guerra nucleare, si salvi chi può!” Notizia a destra: “Esclusivo: il nuovo tailleur della Merkel ha le cuciture in filo di Scozia”) A nessuno è richiesto di essere sempre un poeta e di muoversi costantemente con la grazia di una ballerina classica: ciascuno, anzi, ha il suo sacrosanto diritto alla smanceria più pacchiana. Ma il posto dove lasciare quelle smancerie non sono i social network, bensì l’orecchio del tuo amato o della tua amata. Porta rispetto verso i tuoi sentimenti, o finirai per diventare il nuovo paroliere di Gigi d’Alessio.

Regola n.10: Stacca la spina, togli il sonoro

La forza del potere è il numero, e il potere lo sa. Per questo ti sbatte davanti i suoi numeri da capogiro: così da farti sentire una specie di eremita se non ci sei dentro anche tu. Facebook ha più di dieci milioni di iscritti in Italia. Wow! La televisione qui da noi è ancora più avanti: i programmi più visti arrivano a quindici, venti milioni di telespettatori. Più interessante di ciò che questi dati ci dicono, però, è ciò che *non* ci dicono, o meglio che ci dicono solo indirettamente. Basta rovesciarli: sapendo che gli italiani con diritto di voto (cioè maggiorenni) sono una cinquantina di milioni, si scopre che ben quaranta milioni di persone se ne strafregano di Facebook, e che i rari programmi televisivi che sfondano i dieci milioni di spettatori (Sanremo e le partite della Nazionale, fondamentalmente) raggiungono comunque una fascia minoritaria della popolazione. Non che servissero questi calcoli per affermare la susseguente ovvietà: i mezzi di comunicazione, sia analogici sia digitali, *non sono la vita*. Sono una pallida derivazione di ciò che è la vita, una appendice di servizio, uno stolido surrogato. L’equivoco di fondo che i social network aggravano e diffondono è un equivoco che in realtà l’uomo, a causa della sua natura di essere riflessivo, commette fin dalla notte dei tempi: confondere la sovrastruttura con la struttura, il pensiero con la vita. Quella ragazza ti ha detto una cosa carina e adesso tu sogni a occhi aperti, però ogni volta che la inviti a uscire c’è sempre un contrattempo… eppure continua a dirti cose belle, e tu continui a sognare. Tantissime persone mettono “mi piace” a quel che scrivi su Facebook, e tu ti esalti, ma continui a vedere sempre le solite due facce, con cui fai sempre le solite cose… eppure gli altri sembrano lì, pronti ad accorrere verso i tuoi pensieri telematici, e questo ti culla nell’illusione di poter contare su tante persone. Ma bisogna guardare in faccia la realtà: a quella ragazza non interessi davvero, e i tuoi amici su Facebook non sono davvero tuoi amici. Un appuntamento con la donna più insopportabile del mondo sarà sempre meglio di una chat con la donna dei tuoi sogni: il primo è vita reale, la seconda è vita virtuale. Stacchiamo la connessione, sostituiamo la parola con l’azione: siamo liberi!

Post Scriptum: Don’t feed the troll!

Hai appena letto l’ennesima sparata di un leghista a caso o di un cretino equivalente e senti la bile che ti sale e ti fa incrociare gli occhi come neanche Gasparri? Attento: sei esattamente la persona su cui il lestofante sta puntando tutto. Il suo obiettivo è farti uscire dai gangheri così che tu condivida a destra e a manca il suo stato, ovviamente per spernacchiarlo, ma con lo spiacevole effetto collaterale di regalargli camionate di clic. Io stesso stento a crederlo visto il livello di alfabetizzazione apparentemente raggiunto dal nostro Paese, ma là fuori è pieno di gentaglia: razzisti, ignoranti, omofobi, irrazionalisti. Per la legge dei grandi numeri, ce ne sarà qualcuno anche tra i tuoi contatti: tu pensi di stare urlando al mondo la tua sacrosanta indignazione per gli inaccettabili deliri di un mostro in forma umana (il più delle volte, almeno), mentre invece stai facendo pubblicità al mostro. I tuoi contatti diversamente acuti potrebbero perfino cominciare a seguirlo, felici di non essere i soli a nuotare dentro le putribonde acque del nonsenso. Prendiamo ad esempio quella creatura nota come Mario Adinolfi (in questo caso, obiettivamente, la forma umana è difficile da individuare): la sua fama è dovuta solo ed esclusivamente al rimbalzare in rete delle assurdità vomitate regolarmente dalla sua cavità orale. Tutti si danno di gomito dicendosi: guarda qua, hai visto a che abissi può arrivare la psiche umana? Il risultato è che l’universo mondo parla di Adinolfi e che quest’ultimo diventa così conosciuto da provare perfino (con risultati disastrosi, ça va sans dire) a fondare un suo giornale. Anziché solo l’indignazione, coltiva anche l’ammirazione: in questo modo il tuo contributo servirà a far conoscere chi se lo merita e non solo ad affermare l’ovvio, ossia che il mondo è popolato da idioti.


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