Anche io sono Asia Argento
0October 24, 2017 by Mosè Viero
Qualche settimana fa, l’attrice Asia Argento ha rivelato di essere anch’ella, come tante illustri colleghe, tra le vittime degli abusi perpetrati dal produttore di Hollywood Harvey Weinstein. La violenza denunciata da Asia risale al 1997, quando l’attrice aveva poco più di vent’anni; la sua rivelazione ha fatto seguito a un’inchiesta del New York Times che ha dato conto dei racconti di Ashley Judd, Emily Nestor, Rose McGowan, ai quali si sono poi aggiunte le testimonianze di Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow, Rosanna Arquette, Mira Sorvino e diverse altre dive del cinema. In seguito alle denunce e ai relativi procedimenti giudiziari, Weinstein è stato estromesso dal consiglio di amministrazione della sua stessa compagnia (la Miramax) ed espulso dall’Academy di Hollywood.
Se vivessimo in un Paese normale, ci sarebbe poco da discutere. C’è un colpevole di abuso, ci sono le vittime: ci saranno appositi processi e conseguenti condanne, intanto si esprime solidarietà alle vittime e si condannano le azioni del colpevole. Tutto questo se fossimo in un Paese normale. Evidentemente non lo siamo, dato che dopo la sua rivelazione Asia Argento è diventata lei stessa colpevole: per non aver denunciato prima, per essere stata al gioco del molestatore, per aver usato la sua bellezza per fare carriera, eccetera. La colpevolizzazione si è spostata dal carnefice alla vittima, che forse, sotto sotto, tanto vittima non è.
Il canovaccio di questa vicenda è vecchio quanto il mondo, e trova concretizzazione continua, a livelli diversi, in ogni Paese culturalmente arretrato. Per carità, non si dovrebbero molestare le donne, ma si sa, l’uomo è cacciatore, se sei donna devi stare attenta, non devi provocarlo, non devi andartela a cercare. Se poi sei vittima di violenza e non corri subito al più vicino commissariato allora vuol dire che forse non sei sconvolta più di tanto, magari ti sei anche divertita. Nonostante siano palesemente assurdi per motivi che non vale neanche la pena spiegare, questi ragionamenti si sentono continuamente quando si parla di violenza sessuale. È un po’ come se ai morti negli attentati terroristici si rimproverasse di essere loro stessi in qualche modo responsabili: ma insomma, si sa che in questo periodo ci sono gli attentatori, era il caso di andare in quella piazza o in quell’aeroporto? Non potevi stare più attento?
Allarghiamo un po’ il campo, andando anche al di là dell’ambito delle molestie sessuali. Ciascuno di noi ha in mente una certa idea di giustizia e di comportamento onorevole e responsabile. Cerchiamo tutti, con più o meno convinzione e successo, di tendere a questo ideale: solo occasionalmente riusciamo nel nostro intento, perché siamo creature imperfette, piene di limiti e di paure. Di fronte alle periodiche sconfitte nella sfida dell’essere chi vorremmo essere, ci ripromettiamo di fare meglio in futuro, e magari nel frattempo troviamo consolazione nel fatto che tutto sommato anche gli altri falliscono quanto noi, se non di più.
Non c’è niente di male nella filosofia del mal comune mezzo gaudio: il problema è quando questo approccio viene abbracciato in maniera talmente totalizzante da trasformarci in dispensatori seriali di giudizi a buon mercato, utili solo a tenere alta la nostra autostima distruggendo quella altrui.
Siamo tutti, costantemente, vittime di abusi, soprattutto nell’ambiente lavorativo. Tutti noi mettiamo sul mercato non solo il nostro corpo e le sue energie, ma anche la nostra dignità di esseri umani: e spesso passiamo sopra ai nostri ideali più alti in cambio di un piatto di lenticchie. E siamo talmente abbattuti da questa situazione che cerchiamo continuamente qualcuno messo peggio di noi, o qualcuno che ai nostri occhi sembri ingiustamente avvantaggiato, per riversargli addosso la nostra frustrazione. In questo meccanismo perverso, una come Asia Argento è la vittima perfetta: figlia d’arte e quindi subito identificata come privilegiata, bellissima e spregiudicata, talentuosa tanto da essersi costruita una carriera che si è staccata immediatamente dall’ingombrante presenza del padre. Quale obiettivo migliore per i milioni di frustrati che aspettano solo qualcuno su cui scaricare la propria bile?
Qualche tempo fa scrissi un articolo in cui sostenevo che gli attivisti dell’odio razzista fanno una vita orribile, per giustificare la quale costruiscono scuse dando la colpa al diverso, allo straniero. Il meccanismo di cui è vittima Asia Argento è esattamente lo stesso. Il problema vero è che tanti di noi non hanno il coraggio, la preparazione e le energie per concepire per se stessi un progetto di vita appagante e soddisfacente. Non abbiamo passione, emozione ed entusiasmo per quel che siamo e per quel che facciamo: ergo siamo privi di autostima, ergo non siamo in grado di provare empatia per i nostri simili più ‘illuminati’, che di quella autostima e della ricchezza che essa produce sanno fare buon uso.
Io, dall’alto dei miei due centimetri di autostima, credo di capire come deve essersi sentita una ragazzina di vent’anni alle prese con un potentissimo produttore di Hollywood. Credo che se avesse davvero denunciato tutto all’epoca nessuno le avrebbe creduto e sarebbe stata ancora più devastata dalla disapprovazione che ancora adesso le sta piovendo addosso. Credo, soprattutto, di non avere nessun titolo per poter dire a chi ha vissuto una situazione del genere cosa avrebbe dovuto o non dovuto fare. E credo anche che Asia abbia avuto un coraggio notevole a raccontare questa cosa in un Paese come il nostro, popolato da gente frustrata e repressa. Dall’alto del mio essere quasi niente, ma a fare la differenza rispetto a tanti altri è il “quasi”, mi piacerebbe che le arrivassero il mio abbraccio e la mia solidarietà.
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