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La Repubblica dei Volontari

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April 2, 2014 by Mosè Viero

Qualche giorno fa, in Italia si sono celebrate le mitiche “Giornate del FAI”. Torme di volontari, coadiuvati da garruli studentelli in vena di ciceronaggio, hanno aperto agli occhi curiosi degli italiani un gran numero di monumenti e di siti di interesse storico e artistico normalmente chiusi al pubblico. Non si tratta, peraltro, dell’unica occasione in cui il volontariato è l’unico strumento utilizzato per rendere fruibili edifici storici e aree archeologiche: qualche settimana fa il sottoscritto ha potuto visitare vari monumenti padovani solo grazie all’intercessione degli energici soci di Legambiente impegnati nel programma “Salvalarte”. E c’è da dire che entrare nella Reggia Carrarese o nella Torre dell’Orologio è stato senz’altro piacevole, senza contare che le sedicenti “spiegatrici” (parola peraltro inesistente in italiano, ndr) sono state gentili, simpatiche e, in almeno un paio di casi, dotate financo di leggiadre ballerine.

Purtuttavia, la qualità della loro prestazione è stata davvero discutibile. Il problema è che quando si fa notare la mediocrità di queste guide improvvisate, la risposta tipica che si riceve è: ma cosa pretendi, sono solo volontarie! Questa obiezione mette in luce un fatto che spesso un po’ tutti fatichiamo ad accettare, indipendentemente dall’ambito in questione: la passione e l’entusiasmo non bastano, da soli, a dare qualità a quel che si fa. La qualità è il frutto anche di esperienza e di talento: e quest’ultimo, ahinoi, nessun entusiasmo e nessuna passione te lo potrà mai dare se non ce l’hai. Un po’ come il coraggio per Don Abbondio.

Volendo poi allargare il discorso, ci si può chiedere quale sia la conseguenza di quanto appena affermato. Nel momento in cui la tua prestazione non sarà mai oggetto dello stesso metro di giudizio che si riserva a una prestazione professionale, è chiaro che la qualità del lavoro non sarà mai, nell’ambito del volontariato, il criterio di selezionamento degli “spiegatori”. I volontari sono semplici appassionati: nel migliore dei casi studenti del tutto privi di esperienza, nel peggiore semplici sfaccendati che usano il volontariato come strumento per ampliare la propria vita sociale. Detto più brutalmente: il volontariato funziona con criteri tutto fuorché meritocratici.

L’equivoco di fondo è che in una società capitalista si è portati d’istinto a pensare che, quando qualcosa viene sottratto alla logica del guadagno, si sia di fronte a un atteggiamento comunque meritorio. Il volontario è inattaccabile in quanto apparentemente disinteressato. E chi arruola volontari lo fa spesso sotto l’egida di importanti valori etici e morali: si pensi per esempio ai settori del commercio equo e solidale, o alla cooperazione internazionale. Ma bisogna fare attenzione a non confondere la logica del guadagno e della sussistenza da quella del profitto e dell’accumulo. È giusto e sacrosanto che il proprio talento e la propria professionalità abbiano un riconoscimento economico: non solo per il tempo che richiede il loro affinamento, ma anche perché il riconoscimento economico è, in una società capitalista, il modo migliore per selezionare il merito. Il volontariato dovrebbe essere confinato a quelle attività che non richiedono una preparazione particolare e che quindi possono essere svolte un po’ da tutti: montare gazebi, distribuire volantini, oppure, per l’appunto, raccogliere fondi per pagare chi deve fornire prestazioni di alta qualità. Il grande Gino Strada ribadisce continuamente che secondo lui la sanità dovrebbe essere del tutto slegata dalla logica del profitto: ma i chirurghi di Emergency non sono certo volontari, sono grandi professionisti che ricevono compensi adeguati. Perché il guadagno che ti permette di vivere bene è una cosa, l’accumulazione capitalista un’altra.

I più sprovveduti tra coloro che sfruttano i gonzi col volontariato dicono che è utile per “fare curriculum”. Ma i più sofisticati tirano in ballo grandi ideali: la pace nel mondo, la giustizia, l’arte accessibile a tutti. Ma bisogna dirlo chiaro e forte: chi svende o regala la propria professionalità per sostenere un’idea o una passione sta facendo malissimo non solo a se stesso, ma anche a quell’idea e a quella passione.


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